IL LOMBARDIA. Sciopero no, informazione si

| 16/10/2010 | 10:12
Sciopero no, informazione sì. I corridori oggi non incroceranno le ruote, e neppure ritarderanno di 5 o 10 minuti la partenza del Giro di Lombardia, ma comunicheranno comunque la loro protesta contro le incaute dichiarazioni del procuratore Ettore Torri sulla diffusione generale del doping nel ciclismo. E lo faranno prima del via attraverso volantini, adesivi e borracce. Volantini con l’elenco degli esami cui si sottopongono per diversi enti, nonché la loro disponibilità e reperibilità. Adesivi con la scritta «Io corro con il cuore», che saranno attaccati ai caschi e alle bici. E più di 2.000 borracce, al cui interno ci saranno queste informazioni. Premiato Gianni Bugno, presidente dell’Associazione corridori professionisti, che ieri ha ricevuto il Premio Vincenzo Torriani destinato a «chiama il ciclismo e lo fa vivere» (gli altri premiati erano Claudio Gregori e Mario Resca, con un riconoscimento speciale ad Alessandra De Stefano), spiega che «la protesta è giusta, perché un magistrato dovrebbe sempre avere una posizione sopra le parti, di imparzialità, senza generalizzare un fenomeno che esiste, ma che è limitato e viene combattuto dagli stessi corridori». Per Alberto Volpi, presidente dei direttori sportivi, «non sarebbe stato giusto penalizzare una grande corsa come il Lombardia, certe questioni vanno affrontate nelle sedi opportune». E per Luca Guercilena, vicepresidente dei direttori sportivi, «non si tratta di fare cinema, ma informazione. Perché non ce n’è mai abbastanza». Al Garante Ma l’azione avrà anche uno sbocco legale, in ambito sia sportivo che civile. Le varie associazioni (corridori, direttori sportivi, gruppi sportivi e medici) hanno infatti presentato appello al Garante del Coni perché la frase di Torri («I corridori sono tutti dopati») non sia considerata un semplice «sfogo», ma giudicata per la sua gravità. Perciò hanno richiesto un provvedimento per violazione del codice di comportamento. Quanto al caso Di Luca, Bugno aggiunge che «quando un corridore ha pagato, la pena deve finire lì. Non che ci sia, come per Riccò, un eterno purgatorio. E a pagare non devono essere i corridori, ma il sistema del doping organizzato».

da «La Gazzetta dello Sport» del 16 ottobre 2010 a firma Marco Pastonesi
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