L'Equipe. Ecco le verità di Rudy Pevenage

| 08/07/2010 | 11:32
Un incontro in una stanza d’albergo all'aeroporto di Bruxelles, lunedì. Rudy Pevenage, l'ex mentore di Jan Ullrich, è arrivato al mattino: vive a Grammont (Belgio), sulla strada del Giro delle Fiandre. Chiuso nel suo silenzio dal 2006, ora ha deciso di parlare. "Di recente, un dirigente francese ha detto che ero il diavolo del ciclismo. È ingiusto, io voglio spiegare”.

Incontra ancora Jan Ullrich?
- Di tanto in tanto. So che cerca di recuperare il tempo che ha perso la sua famiglia quando era corridore. Vuole vivere questi momenti semplici lontano dalla confusione del ciclismo mondiale, che non gli è mai veramente piaciuto.

- Ha mai pensato di tornare a correre?
- No. Sapeva che era impossibile. Jan è stato punito come Ivan Basso, ma la differenza è che lui è tedesco e vive in Svizzera. Due paesi in cui non vi è alcuna possibilità di fare ammenda e ricominciare tutto da zero dopo una sospensione.

- Lei si senti in colpa?
- Quanto è accaduto a Starsburgo è stato uno shock, ovviamente. Ma finora non ho parlato perché ho sempre sperato di tornare al ciclismo. Col senno di poi, dico che si sono limitati a punire il minimo numero di persone e hanno lasciatoi partire il Tour 2006 con almeno la metà del plotone che aveva commesso le stesse stronzate.

- Colpa del dottor Fuentes?
- Dobbiamo smettere di chiudere gli occhi, Fuentes non era l'unico medico attivo  in quel momento. Anche le altre squadre avevano la loro organizzazione medica. Ma quel che cosa è successo con Manolo Saiz e Rudy Pevenage ha salvato gli altri, come accadde per la Festina nel 1998. Una squadra all’indice, poi si è evitato di indagare sugli altri. Non c'è solidarietà nel ciclismo, sarebbe stato molto più utile che a Strasburgo tutti mettessero sul piatto la verità per ricominciare su nuove basi.

- Lei è sempre arrabbiato?
- No, la rabbia è finita, risale a quattro anni, ora ho digerito tutta la faccenda. Que le che non mi piace, invece, è vedere corridori clienti di Fuentes che sono ancora in prima fila a dare lezioni.

- Ma non si sarebbe potuto evitare quel che è successo a Strasburgo nel 2006?
- Forse sì, chissà... Il lunedi o il martedì che precedevano la partenza, un tizio altolocato mi ha chiamato per dirmi di far in modo di fermare Ullrich ad ogni costo: "Rudy, digli di rompersi una clavicola scendendo dalle scale", ha raccomandato. Ma come avrei potuto spiegarlo a Jan? Mi avrebbe preso per pazzo. E poi fino alla fine lui era convinto che avrebbe potuto correre e vincere il Tour. Nel pomeriggio di venerdì si è allenato come un matto, pedalando sui rulli nella sua camera...

- Qual è stato il suo ruolo in questa vicenda?

- La mia colpa è che ho organizzato i viaggi a Madrid per Jan.

- Dal dottor Fuentes?

- Sì, da Fuentes. Che senso avrebbe ora continuare a mentire? Ma dovete sapere che non avevo l'impressione di sbagliare. Ho conosciuto un sacco di clienti di Fuentes, tra cui buoni corridori che erano in partenza per il Tour 2006. Sapevo anche che c’erano altri medici che facevano lo stesso lavoro di Fuentes. Tutti sapevano che era quasi normale, pur riconoscendo l’illegalità dei metodi.

- Vale a dire?
- Anche quell’anno ci furono corridori che hanno preso il cia del Tour con 45% di ematocrito e sonbo arrivati a Parigi con 49,5. Naturalmente è impossibile, ma tutti sono passati attraverso i controlli. È come passare con il semaforo rosso: puoi farlo cinque volte senza che nessuno ti veda e la rabbia, quando tiu prendono, è vedere che altri che hanno fatto come te se la sono cavata.

- Come sa quel che accadeva nelle altre squadre?
- Ognuno di noi sapeva tutto. I corridori cambiano spesso squadra e dopo un mese hanno già raccontato quello che hanno fatto con i loro ex datori di lavoro. È un piccolo mondo, tutti sanno tutto.

- Perché l’hanno scoperta?
- Perché un giorno ho fatto un errore. Di solito, per comunicare con Fuentes usavoto una carta prepagata con un numero sconosciuto. Ma al Giro del 2006, ho voluto chiamare  per dargli la notizia della vittoria di tappa di jan, non avevo più credito sulla carta e così ho usato il mio telefono personale. E gli inquirenti che intercettavano le telefonate di Fuentes mi hanno beccato. La mia conversazione con lui aveva nulla di segreto, ma il mio numero è stato smascherato. Tutti lo conoscevano, non potevo negare. Se avessi usato il Blackberry, sarei passato inosservato.

- A che punto è con la legge?
- Ho chiuso con la giustizia tedesca versano un assegno di 25.000 euro a favore di un’associazione per bambini disabili in Germania. La giustizia belga mi indagato, ho avuto due perquiszioni, ma non hanno trovato nulla. Non ho mai comprato o venduto sostanze dopanti, ho solo organizzato viaggi a Madrid, per portare Jan da Fuentes. E pensavo di fare bene...

- Lei aveva vissuto in prima persona anche il caso Festina nel 1998.
- Alla T-Mobile, ci eravamo fermati dopo il 1998 e la nostra squadra era davvero pulita, negli anni che seguirono il caso. Ma pian piano, guardando i risultati, ci siamo resi conto di essere in ritardo su altre squadre, soprattutto spagnole e italiane. Si è constatato che alcuni avevano trovato un metodo alternativo di preparazione al fine di evitare EPO.

- La rivalità con Lance Armstrong vi ha costretto ad andare oltre?
- Ci ha spinto a fare del nostro meglio per batterlo. Noi non siamo idioti e Armstrong era conosciuto prima della sua malattia. La metamorfosi dopo il suo ritorno è stata davvero grande. Io però sono ancora ancora convinto che Jan fosse molto più forte fisicamente, ma ...

- Ma?
- Armstrong è stato un grande professionista, Johan Bruyneel, il suo manager, anche. Ma anche lui ha corso per Manolo Saiz e non poteva ignorare quanto stava accadendo.

- Ma il doping...
- Con tutti i soldi che guadagnaca, Jan non poteva permettersi di essere battuto da corridori di seconda classe. È entrato in una spirale perversa, ci stava male e anche per questo tendeva ad ingrassare. Oggi, che non corre, è molto più magro di quando finiva il Tour. Lo stress ha rovinato la sua carriera, aveva paura di non essere all’altezza e non era contento di tutto quel che era costretto a fare. Voleva essere semplicemente un campione naturale. Senza merda. "

da L'Equipe dell'8 luglio
a firma di Philippe Le Gars
Copyright © TBW
COMMENTI
Tempi sbagliati
8 luglio 2010 13:29 limatore
Una confessione che fà onore a un uomo di sport, ma i tempi non sono quelli giusti. Fin dal 2006, accertato il coinvolgimento di Ullrich doveva fare nomi di Team e Medici. Forse adesso saremmo all'anno III° o IV° del nuovo ciclismo, e certi personaggi sarebbero a fare tutt'altra cosa.

Allora?
8 luglio 2010 13:39 LorenzoFiuzzi
Allora, cari esperti che inveite sempre contro i corridori positivi all'antidoping (e che non sapete neanche quante ruote ha una bicicletta), avete capito come funziona? Avete capito o no che i corridori sono le vittime?
Avete capito o no che se non ti fai non stai in gruppo?
AVETE CAPITO O NO CHE I VERI COLPEVOLI SONO I MEDICI CHE NON CURANO GLI AMMALATI? MEDICI CHE SI ARRICCHISCONO SULLA PELLE DEGLI ATLETI CHE COSTRINGONO A FARSI DI ROBA GARANTENDO LORO CHE NON FA MALE E CHE SE LA FANNO TUTTI. IMPALARE I VARI SANTUCCIONE, LAZZARO, FUENTES, FERRARI, ECC. ECC. ECC.

NULLA DI NUOVO
8 luglio 2010 14:50 Capitano
MA CHE BELLE PAROLE, SPERO ANCORA NON CI SIANO IN GIRO GLI IPOCRATI CHE PENSANO CHE E' UN CASO ISOLATO, CHE NESSUNO SA NIENTE, CHE E' UN ERRORE ECC ECC IL CICLISMO NE ESCE ANCORA E SEMPRE PEGGIO, E FINCHE' I CICLISTI NON PRENDONO IN MANO IL PROPRIO DESTINO NON CAMBIERA' NIENTE,, BISOGNA CAMBIARE CULTURA PRIMA DI TUTTO E DOPO TUTTI I DIRIGENTI DALL'UCI ALL'ULTIMA SQUADRA O QUASI ( EX CICLISTI DENTRO AL SISTEMA)...ASPETTO I COMMENTI DI CHI DIFENDE L'INDIFENDIBILE, SEMPRE.
W IL CICLISMO E ABBASSO IL DOPING, CHI LO PRATICA E CHI LO FAVORISCE ANCOR DI PIU' ABBASSO. BERLESE ROBERTO

8 luglio 2010 15:20 overend
lorenzofiuzzi mi scusi, ma secondo lei jan ullrich all'epoca dei fatti fu legato al letto e poi obbligato a bucarsi con una pistola puntata alla tempia? Io credo di no. E non credo che lei sia l'unico al mondo a sapere quante ruote ha una bici.

signor overend
8 luglio 2010 19:00 LorenzoFiuzzi
signor overend all'epoca dei fatti jan ulrich voleva fare il corridore.
E quando si fa un mestiere occorre utilizzare mezzi almeno non inferiori a quelli dei concorrenti, per competere.
I corridori sono vittime di un sistema che non li tutela, perchè la prima tutela sarebbe quella di rendere impossibile l'utilizzo di certi sistemi, che vengono invece sempre più perfezionati da gente che dovrebbe curare gli ammalati. Piantatela di accusare sempre coi corridori, che sono l'anello più debole della catena doping, e che si ritrovano costretti, se vogliono continuare a fare il loro lavoro, a seguire medici senza scrupoli che si arricchiscono sulla loro pelle. E questo a prescindere da quante ruote possa avere una bicicletta.

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