Lo sfogo di Stefano Bertolotti: «Ora basta, la misura è colma»
| 29/04/2009 | 17:41 Adesso basta, la misura è colma. Il caso della positività di Davide Rebellin ad un controllo antidoping dopo la conquista della medaglia d’argento nella prova in linea dei Giochi Olimpici di Pechino rappresenta solo l’ultima, purtroppo solamente in ordine di tempo, mazzata per lo sport delle due ruote.
Non appena scoppia un nuovo caso di doping nel ciclismo ecco scatenarsi prontamente una lunga serie di reazioni più o meno pacate da parte degli appassionati. Chi propone la radiazione, chi è per dare all’atleta una seconda possibilità, chi propone analisi più precise ma il punto sul quale tutti si trovano in perfetto accordo è il vittimismo.
I problemi legati al doping nel ciclismo sono tangibili, lo sono sempre stati. Ci sono delle regole e vanno rispettate. I fantastici appassionati di ciclismo, quelli che si sobbarcano lunghe trasferte per vedere i corridori sfrecciare tre minuti, quelli che assiepano i bordi delle strade pacificamente, quelli che non hanno bisogno di un solo poliziotto per contenere i propri impeti si trasformano in ultras quando scoppia un caso di doping.
Si parla di congiure e complotti nei confronti del ciclismo. Sarebbe bello se fosse così, significherebbe che il nostro amato sport farebbe realmente paura ai grandi della terra. Dati alla mano il ciclismo è uno degli sport che maggiormente sta accusando la tanto citata, a volte abusata (quasi si trattasse di una soluzione di comodo), crisi economica. Sempre meno sponsor (qualche pizzeria, ferramenta o mobilificio tra i professionisti si trovano ancora), sempre meno gente ai bordi delle strade delle gare minori e non solo, sempre meno spazi televisivi (fatta eccezione per grandi avvenimenti) dimostrano quanto questo sport sia poco vendibile, sempre meno giovani che si avvicinano a questo sport. Del resto quale genitore cosciente si sentirebbe di mettere in sella un bambino di sette anni e di gettarlo in mezzo al traffico sotto la guida di chissà chi? Magari uno sport in queste condizioni facesse paura! Viavaddio!
Si chiedono regole uguali per tutti, sacrosanto, ma sulla parità di trattamenti ciò che viene invocato a gran voce, ogni volta, è che si conoscano anche i nomi di eventuali altri atleti di altre discipline coinvolti in casi di doping. Da questo emerge il lato più oscuro, il più cattivo e vendicativo, di questo fantastico popolo, quello del ciclismo che si sentirebbe più sollevato sapendo che altre discipline condividono lo stesso problema che però a noi rimane e non si allevia.
Chi viene tradito da un amico o dal partner si sentirebbe meglio nel momento in cui scoprisse che la stessa cosa è capitata anche al suo vicino di casa o collega di lavoro? Cosa cambierebbe ad un appassionato di ciclismo sapere che tra i positivi ci sono anche praticanti di curling, bocce o salto alla corda? Il problema del ciclismo in quel caso si annullerebbe? Molto probabilmente no, rimarrebbe solamente una grande questione da affrontare da soli, magari con l’aiuto dell’istituzione sportiva preposta, che si risolverebbe senza accusare gli altri.
Nessun mafioso (se non pentito, ma questa è un’altra storia che accade anche nel ciclismo) ha mai accusato altre persone di delitti di mafia ma le accuse sono sempre state mosse da persone limpide e cristalline. Provenzano docet: si è assunto le proprie responsabilità ma non ha mai accusato altri. Sarebbe come adirarsi con la polizia dopo essere stati fermati in autostrada a 180 chilometri orari e porre come giustificazione il fatto che la maggior parte degli altri automobilisti viaggia a 200 all’ora.
Non abbiamo più bisogno di biechi mezzi per dimostrare una presunta innocenza, chi ha sbagliato deve pagare, senza sconti, senza pietismi.
Quando veramente viaggeremo a 129 chilometri orari potremo puntare il dito contro chi viaggia a 131, ora no!
Ci si chiede perché, fino ad ora, l’unico nome emerso dalla vicenda Pechino sia quello di Rebellin; semplice: il C.O.N.I. ha dato immediatamente la comunicazione all’atleta (unico italiano coinvolto), cosa che non è stata fatta, per il momento, dagli altri comitati olimpici. Inevitabile dunque il tipico passaparola tutto italiano che ha portato il veronese sulla bocca di tutti alla velocità della luce.
Siamo ancora noi, appassionati di ciclismo, le vere vittime di questa vicenda; le percentuali di positività ai controlli sono ancora altissime. Noi che crediamo alle imprese, noi che ci esaltiamo, noi che per ogni scatto in salita gridiamo al nuovo Coppi, noi che vorremmo vedere il ciclismo 24 ore al giorno su tutti i canali tv, noi che avevamo anche creduto alle parole di un Davide Rebellin sorridente con la sua medaglia d’argento al collo nell’afa di Pechino: “Per me questa medaglia è la rivincita del ciclismo pulito. Spero di essere un esempio per tutti i giovani, dimostro che si ottengono risultati con il sacrificio e con tanto allenamento e non con il doping.”
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