Manola Pantani: Marco, avrei voluto dirti che...

| 15/02/2005 | 00:00
Le parole che non gli ha detto, e che avrebbe voluto tanto dirgli. Le parole che fatica ancora adesso a pronunciare, ad un anno di distanza, con lo strazio nel cuore e la sensazione di un'occasione persa. «Avrei voluto abbracciarlo, coccolarlo di più, dirgli quanto gli volevo bene e quanto ero orgogliosa di lui, ma non ne ho avuto il tempo...». Manola vive nel ricordo di suo fratello, Marco Pantani, morto un anno fa ieri, dopo anni di tormento, di eccessi e autodistruzione, che l'hanno portato a morire nella solitudine di una camera d'albergo di Rimini, la sera di San Valentino. Ieri sera, una messa in forma strettamente privata, presso la chiesa di San Giacomo su Portocanale. Un ricordo privato, lontano dai clamori, dalle telecamere e dai taccuini dei giornalisti. La famiglia Pantani si è stretta ad un anno di distanza attorno al proprio Marco, con semplicità e rispetto, anche se troppo livore è stato trasmesso in questi giorni di commemorazione. Chi ha cercato e cerca quotidianamente di ricordare Marco in un modo più sereno è la sorella, Laura, detta Manola, 36 anni, madre di due bimbi (Denis di 15 anni e Serena di 12) l'unica a battersi quando il fratello era in vita perché si squarciasse il velo d'omertà e d'ipocrisia sulla dipendenza dalla cocaina. Ma nessuno ha avuto la forza di ascoltarla. Oggi mamma Tonina, tormentata dal dolore, accusa il mondo del ciclismo di aver tradito e abbandonato il proprio figlio. Accusa ex corridori che a suo dire avrebbero usato il buon nome del Pirata per farsi pubblicità. Accusa i giornalisti di non ricordarlo nel mondo più giusto e adeguato. Manola, non accusa nessuno. Ogni giorno si reca al cimitero, a parlare con quel fratello che tanto ha amato e che avrebbe voluto con lui condividere molte più cose. Ha tanti rimpianti nel suo cuore, ma anche una grande e nobile missione: portare in giro il buon nome del fratello e cercare di far capire alle giovani generazioni che di droga, quella maledetta polvere bianca, si può solo morire. «E' passato un anno e ancora non riesco a credere che lui non ci sia più - dice Manola -. Mi sembra che sia successo tutto ieri. Ma ogni giorno lo sento vicino: è sempre qui accanto a me. E penso anche a tutto quello che non sono riuscita a fare assieme a lui. Dalle cose più semplici, come andare a fare la spesa assieme o a passeggiare con i miei figli, ma anche fare una chicchierata in tutta tranquillità. Purtroppo, però, quando è diventato famoso la notorietà l'ha portato ad allontanarsi ancora di più da casa, da me e dalla nostra famiglia. Quando era a casa, quel poco tempo che aveva a disposizione lo utilizzava per rilassarsi un po' e per stare con la sua ragazza. Però mi dicevo: quando non avrà tutti questi impegni, quanto finirà di fare il corridore, sicuramente sarà tutto per me, ma purtroppo non è stato così». Manola non accusa e non si da pace. Parla di Marco con amore e rispetto, ma sa perfettamente come le cose sono andate, non si racconta un'altra verità: «Quello che più mi ha fatto soffrire - dice - è stata la sua testardaggine. Non si è mai sentito un malato. Alcune volte mi sono trovata faccia a faccia con lui e tutte le volte gli dicevo: "Marco, io sto male a vederti soffrire in questo modo, non puoi andare avanti così. Io lo so che tu stai male, è inutile che me lo nascondi o che dici che non è vero". Quello che mi fa male, oggi, e che non riesco assolutamente ad accettare l'idea che non si sia reso conto di quello che stava rischiando. Sono stati anni bruttissimi - aggiunge Manola -, anni da inferno. Penso però che doveva essere lui, soltanto lui a rendersi conto di quello che stava rischiando, doveva cercare in tutti i modi di uscire lui da quella situazione. Io, però, continuavo a sperare e mi dicevo: "Vedrai Manola, Marco è forte, non può gettarsi via così. Vedrai Manola che Marco ce la farà: ce l'ha sempre fatta e ce la farà anche questa volta. Un giorno arriverà e ci dirà: voglio cambiare vita, voglio voltare pagina. Purtroppo non è stato così». «Ci siamo sempre detti molto poco, perché per certi versi eravamo uguali: un po' introversi e timidi, ma ci bastava uno sguardo per capirci. Io avrei voluto trovare il modo per abbracciarlo, per dirgli quanto gli volevo bene, quanto io vivevo e vivo ogni giorno per lui». Oggi Manola continua ad aprire tutte le mattine il suo negozio di biancheria intima che ha sul lungomare di Cesenatico, continua ad andare a salutare Marco al cimitero: settore G, viale numero 6, loculo 262. Continua a lavorare per la Fondazione voluta dalla famiglia. «La Fondazione è una cosa bella, che a Marco sarebbe piaciuta senz'altro. Ma il mio compito, oggi, è anche quello di far capire ai tanti ragazzi che si trovano nella situazione di Marco che con la cocaina si muore. Con quella polvere bianca non si scherza assolutamente. Dalla polvere bianca ci si può liberare, ma bisogna fortemente volerlo e non è una cosa semplice».
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