Nelle ultime settimane sono stati due i grandi temi di discussione: la proposta di Pogacar di un cambio nel calendario tra Giro e Vuelta, con la corsa rosa spostata ad agosto, e la questione del ciclismo a pagamento con un biglietto d’ingresso.
Gianni Bugno, campione amatissimo, è ancora l'unico ad aver portato la maglia rosa del Giro d'Italia dalla prima all'ultima tappa, da Bari a Milano, nel 1990. Il monzese ha vinto due Mondiali nel 1990 e 1991 e anche un Giro delle Fiandre e una Milano-Sanremo. Nel suo palmares ci sono due podi al Tour de France e vittorie di tappa che in tanti ancora oggi ricordano con affetto. Bugno va dritto al sodo ed entra nel cuore del dibattito. «Spostare il Giro a settembre e la Vuelta a maggio? Eh sì. Per me sarebbe una cosa giusta. Sono posizionati così nel calendario da tanti anni ma non va bene per il Giro. Va bene solo per la Vuelta, che precede il Mondiale. Tra agosto e settembre il Giro andrebbe a recuperare quei grandi corridori che oggi preferiscono correre la Vuelta e poi in montagna non ci sarebbe più il problema della neve che si trova a maggio». E subito dopo Bugno aggiunge: «Oggi purtroppo i corridori vengono al Giro come ripiego, invece che per cercare di fare qualcosa».
L'altro aspetto di cui si sta parlando, in particolare in Belgio e in Francia, è legato alla possibilità di far pagare il biglietto in alcuni tratti del percorso dei grandi appuntamenti. «Attenzione, non è che io devo pagare per un solo passaggio, non è che vado su una salita, aspetto ore e devo pagare per vederli passare una volta sola. Invece se faccio un circuito, allora sì che un biglietto avrebbe senso. Prendiamo un circuito sulle Dolomiti, con quattro Passi, lo facciamo tre volte: io pago un biglietto perché vado su in montagna e vedo tre volte il passaggio dei corridori. E in questo modo la gente verrebbe di più, si sposta e si offre anche agli alberghi la possibilità di ospitarla. Non tutto il circuito a pagamento, ripeto, ma solo alcune zone, dove metto le tribune. Ma al pubblico che paga comunque devo garantire qualcosa».
Ci sono già esempi molto chiari: come il circuito finale del Giro delle Fiandre, con quelle tende bianche sul Vecchio Kwaremont o sul Paterberg che ospitano migliaia di appassionati e sponsor. Paghi, mangi e i campioni ti passano a pochi metri. «Se vuoi far pagare, devi dare qualcosa, e finora in Italia il ciclismo non dà niente - continua Bugno -. Io devo avere qualcosa per far pagare: se vado al tennis, vado al calcio e vedo una partita, pago per uno spettacolo che dura. Io posso pagare per diversi passaggi. Si paga perché c'è un circuito, perché ho uno spettacolo che dura del tempo».
C’è poi la questione dei soldi che arriverebbero dalla vendita dei biglietti e come distribuirli. «Il guadagno dovrebbe essere ripartito con l'organizzatore, le squadre e ai corridori. Ma con questo sistema bisogna anche cambiare il percorso. Con il Giro non puoi toccare 20 regioni, ne fai di meno, ma vai a toccare soprattutto le grandi città, Milano, Bologna, Firenze, con circuiti di 15-20 chilometri, diversi passaggi e biglietto. Penso anche a un circuito alpino, oppure al circuito di San Luca a Bologna, oppure all'arrivo a Parigi, che quest'anno era a pagamento in alcuni tratti. Insomma se si vuole intraprendere la strada del ciclismo a pagamento, si può sicuramente fare, ma a patto che ci sia la certezza di offrire uno spettacolo che valga la pena di vedere».