“Sono Bruna Coppi, moglie e vedova di quell’uomo che il mondo intero conosceva come il Campionissimo. Per me era Fausto, l’unico uomo della mia vita, il padre di Marina”.
Cominciava così il diario di Bruna Ciampolini, che fin dall’inizio, nelle sue parole raccolte da Franco Rota, trascurava la propria origine, la propria famiglia, la propria famiglia d’origine, per consegnarsi anche con il cognome all’unico uomo della sua vita. “Ero la sua ombra”, lo fu, “Mi sono sforzata di essere discreta”, ci riuscì, “Volevo dividere il suo amore”, qui non ci riuscì, non completamente, “Ho taciuto sempre perché speravo che tornasse da me”, finché decise di raccontare e raccontarsi a qualcuno che la conoscesse, che la rispettasse, e che già sapesse, Rota, appunto, giornalista, più di un addetto stampa per Fausto.
Luciana Rota, figlia di Franco, ha ripubblicato quell’antico diario, tramandato dopo la morte del 2 gennaio 1960, arricchito da una sua geografia coppiana (Sanremo, Castelletto d’Orba, Tortona, le cascine e i musei…) e da un suo personalissimo epilogo, completato dalla prefazione di Maurizio Crosetti e da quella illustrata di Riccardo Guasco, da una nota storica di Paolo Mieli e da foto storiche d’archivi, da pensieri di Antonella Belluti e Paola Pezzo, Linus e Francesco Moser, Beppe Bergomi e Pamela Villoresi, Vincenzo Nibali e Rossella Spinosa… Giornalista e autrice, responsabile della comunicazione per il Museo del ciclismo al Ghisallo e per l’AcdB Museo di Alessandria, Luciana Rota propone il suo lavoro, “Fausto – il mio Coppi” (Lab DFG, 304 pagine, 19,90 euro), in biblioteche e teatri, feste e rassegne, con attori e cantanti, corridori e scrittori, consapevole come i libri debbano essere accompagnati, guidati, narrati, per poter arrivare alla gente, e in questo sforzo si sentirà appoggiata anche dalla sua figura paterna. Quasi una missione un po’ per Fausto, un po’ per Franco, molto per Bruna.
E’ la “storia di un amore in salita”, quello tra Fausto e Bruna, come dichiarato nel sottotitolo. L’incontro fu folgorante, la scintilla il 29 agosto 1940, sulla provinciale tra Villalvernia e Cassano Spinola, chilometro 4,200. Fausto in bici, chino sul manubrio, maglia Legnano, Bruna in bici, scese e la appoggiò sul bordo della strada, tese il braccio, forse sventolò la mano, l’impulso irresistibile di chiedere un autografo. Fausto le gridò “attenta”, Bruna aveva rischiato di finire sotto un camion. Fausto le disse “non giro con le foto in tasca”, le promise “però gliela porto domani”, domandò “mi aspetta?”, Bruna lo salutò, Fausto non le dette la mano. Il giorno dopo si rividero. Poi la promessa di matrimonio, la guerra, le lettere, il ritorno a casa, il matrimonio… Fino alla morte di Fausto. “La voce della radio si ruppe, di colpo. Qualcuno aveva spento. Forse la tragedia di Fausto aveva commosso anche l’ignoto ascoltatore, forse l’aveva solo infastidito. Vedevo la mano distratta di un uomo avvicinarsi all’apparecchio e girare la manopola”, “Io ero sempre lì, ferma, inchiodata al telefono, a quel microfono che, ormai, poteva solo darmi il segnale della fine. Ilda tornò un’ora più tardi. Aveva gli occhi cerchiati, il volto stanco era arrossato dalle lacrime. ‘Bruna – disse quasi con paura – Bruna, il tuo Fausto non c’è più’”.
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