
Con la vittoria di Paul Double (la prima di un corridore britannico nella storia della manifestazione), un’altra edizione del Tour of Guangxi è andata in archivio. Seguendo, a livello di tracciato, il medesimo spartito dello scorso anno, la corsa ha portato ancora una volta la carovana del World Tour a solcare le strade del sud della Cina riscoprendo quanto esigente (soprattutto dal punto di vista climatico) e affascinante sia questa regione al confine con il Vietnam.
Scenografia a parte, la corsa non ha mancato di regalare spunti, novità e soddisfazioni chiudendo in questo modo al meglio il calendario della massima serie. Tra le vittorie di Magnier (autore di una fenomenale cinquina e nuovo vincitore più giovane di sempre della gara), la tenacia di Guglielmi (sempre all’attacco per dare un’ultima gioia all’Arkea-B&B Hotels), la voglia di mettersi in evidenza dell’enfant du pays Su (premiato come più combattivo della tappa regina), la rincorsa ai punti della Cofidis e gli addii di Gibbons, Peters e McLay, al Guangxi non sono mancati ogni giorno i motivi per seguire con interesse l’epilogo di un evento che non è ancora chiaro se l’anno prossimo presenterà della novità o meno.
Per provare a capirlo, ma anche per fare il punto su quanto visto e capire meglio come funzioni la macchina organizzativa della corsa cinese, abbiamo interpellato una vecchia conoscenza del ciclismo italiano come David Loosli (visto tra il 2004 e il 2011 con le maglie di Saeco e Lampre) che, sin dal 2017, fa parte dello gruppo di lavoro del Tour de Suisse incaricato di supportare gli organizzatori locali nella messa a punto del Tour of Guangxi.
David, qual è il bilancio di questa edizione?
“Come organizzazione siamo molto contenti, non ci sono stati incidenti o problemi particolari quindi per noi è stata un’edizione positiva. Anche considerando il lato sportivo poi, alla fine, possiamo dire di aver comunque visto delle tappe interessanti”.
Il percorso di quest'anno era identico a quello dell'anno scorso per cui viene spontaneo chiederti se c'è già l'idea di riproporlo uguale anche nel 2026, o se cambierete qualcosa?
“Per adesso non sappiamo ancora con certezza che conformazione avrà il tracciato dell’anno prossima ma l'idea di riproporre nuovamente questo percorso anche nel 2026 c’è. Il motivo è che non è facile cambiare itinerario perché tante strade non sono attrezzate per ospitare una competizione del genere: molte di quelle che i corridori hanno affrontato negli ultimi due anni sono state rimesse a nuovo apposta per il Tour of Guangxi e questa operazione chiaramente ha un certo tipo di costi. Quindi, pur non conoscendo ancora i dettagli del percorso dell’anno prossimo, non escluderei che venga confermato quello attuale”.
In futuro possiamo aspettarci magari una gara di sette giorni o un nuovo posizionamento in calendario?
“È tutto possibile. Per quanto riguarda il calendario e i giorni di gara è sempre l’UCI a decidere ma posso dire che il format da sei giorni soddisfa sia i cinesi che noi. È chiaro che, trattandosi di una corsa che chiude la stagione, questa non può essere né troppo dura né troppo lunga: da questo punto di vista il percorso attuale, dunque, è perfetto”.
Come funziona il processo di selezione delle sedi di arrivo e di partenza? Quanto tempo prima vi attivate per individuarle?
“Questo aspetto non siamo propriamente noi della BTC a gestirlo ma i cinesi e, in particolare, la regione del Guangxi: sono loro che ci forniscono un elenco delle città che potrebbero essere sede di partenza o arrivo e, con esso, delle proposte per delle possibili tappe. A quel punto spetta a noi, anche venendo qua in loco, vedere se, sia dal punto di vista della sicurezza che sul fronte sportivo, le loro idee possono andar bene o meno”.
Di solito quanto tempo prima venite a visionare le tappe?
“Nel caso di quest’anno conoscevamo già il percorso nella sua interezza, ma genericamente veniamo sei mesi prima per visionarlo nella sua interezza. La macchina organizzativa, in ogni caso, si mette in moto già al termine dell’edizione precedente ma in quel frangente noi ci limitiamo a visionare le mappe. I cinesi comunque in questo momento hanno già acquisito una buona esperienza e hanno già un’idea di cosa si possa fare e cosa no”.
Loro su cosa insistono maggiormente a livello organizzativo? Fanno delle richieste particolari o no?
“No, nessuna in particolare. Ormai hanno capito come funziona il tutto perché adesso, dopo essere venuti in passato in Europa in prima persona, conoscono il ciclismo. Fanno ancora fatica ad assumersi determinate responsabilità ma è anche per questo che adesso siamo qui noi: conoscendo come funziona questo mondo, i regolamenti e avendo i contatti con l’UCI, loro si fidano di noi e dello standard che portiamo”.
Dal tuo punto di vista ci potrà essere anche un secondo arrivo in salita prima o poi?
“Personalmente sarebbe bello avere un secondo arrivo in salita, aiuterebbe a differenziare le cose. Adesso, proponendo sempre questo percorso, già dall’inverno si sa che ci saranno sostanzialmente cinque tappe per velocisti e questo blocca la corsa. Sapendo che la generale si deciderà quindi il penultimo giorno, gli scalatori possono stare tranquilli e risparmiarsi fino all’unico arrivo in salita. Per questo credo che sarebbe bello avere una tappa un po’ più dura prima di Nongla”.
Vedi sempre più interesse per il ciclismo qua in Cina?
“Mi sembra di sì, anche se non è facile capire i cinesi e parlare con loro. Il modo di vivere l’evento è sicuramente diverso, basta vedere gli spettatori che vengono tenuti lontano dalle strade per il timore che possa succedere qualcosa. Detto ciò, mi sembra che la gente sia contenta di vederci qua”.
Senti ci sia dunque, in termini più generali, più passione per la bicicletta?
“Direi di sì. Nelle grosse città, ad esempio, capita d’incontrare tifosi che seguono le principali corse europee come il Tour de France e conoscono i corridori e questo è molto bello”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.