
Figura iconica del ciclismo rwandese, il 42enne Rafiki Uwimana ha imparato l’arte – di corridore - e non l’ha messa da parte, diventando allenatore, guida per tanti cicloturisti, meccanico ormai con un vasto bagaglio d’esperienza acquisito al World Cycling Center di Aigle, casa Uci per intenderci.
L’altro giorno Rafiki si è guadagnato una visibilità televisiva durante una delle prove a cronometro, cambiando a tempo di record la ruota ad un concorrente ugandese. Qui basta pronunciare il suo nome e tutti lo conoscono, non solo per la capigliatura alla Bob Marley.
Per lui la passione ciclistica si trasformò in vero e proprio sport praticato nel 1997, quando questo Paese usciva dalla tragedia del genocidio. “Ho fatto parte e ne sono orgoglioso dei cinque membri originari del Team Rwanda. Non solo: quando sono venuti qui il mitico Tom Ritchey e Jock Boyer a pedalare qui, sviluppando anche il progetto delle bici in legno usate come cargo bike, io ero con loro. Così come ricordo quando il Tour du Rwanda era solo un’idea allo stato embrionale e ben differente da ciò che è oggi, unica corsa 2.1 in tutta l’Africa, seguitissima dal pubblico”.
Vera e propria premessa per ciò che stiamo vivendo in questa settimana: “Sì, ogni tanto devo darmi un pizzicotto per capire che è tutto vero…Comunque sono già pronto a partire subito dopo la rassegna iridata per un importante corso ad Aigle, continuando con spirito di servizio verso il movimento ciclistico nel suo insieme. Nell’estate di quest’anno ho anche seguito alcune tappe del Tour de France a fianco del WCC, salendo sul palco con Bernard Hinault”.
ACADEMY IN CIMA AL MOUNT KIGALI E PODIO AL TOUR
Sulla sommità del Mont Kigali, ascesa affrontata dai professionisti nel giro lungo comprendente anche il terribile Mur de Kigali, c’è la Rafiki Academy, con ciclofficina e foresteria. Chi la frequenta?
“Giovani non solo di questa zona, il nostro fine è garantire loro una formazione adeguata in ogni suo aspetto, portandoli a gareggiare e seguendoli in allenamento. In Rwanda sta strutturandosi maggiormente un calendario esteso a più discipline e questo è positivo, ma certo non sarà il punto d’arrivo, molto può ancora essere realizzato”.
Secondo il doppio paradigma - semplice semplice, almeno a dirsi - più bici e più corse…
”Disporre di biciclette per fare attività specie con le scuole di ciclismo (appello ai produttori anche italiani per programmi charity, nda), così come di altro materiale è fondamentale, penso alla generosità di Taaramae che ha portato qui magliette, borracce e copertoni donate dai suoi compagni di casacca, tra questi un certo Biniam Girmay…”.
Insomma, tutti a dire che il potenziale atletico degli africani è grande: il modello è l’Eritrea?
“Direi proprio di sì, chiaramente c’è una cultura ciclistica assodata, ma noi non partiamo da zero, anzi questo Mondiale deve mettere al centro cosa capita da lunedì, una volta spenti i riflettori”.
Ma Rafiki, padre di quattro figli, ha ancora tempo ad andare in bici?
“Non ci rinuncio per nulla al mondo e se posso consigliare a tutti, italiani compresi, un’esperienza incredibile, dico di venire al Rwandan Epic di dicembre. Personalmente ho anche tracciato il Congo Nile Trail e questo è un bellissimo percorso sulle rive del Lago Kivu. Altamente consigliato” – afferma ancora Uwimana, finisher per tre volte alla Cape Epic.
E del figlio Johnatan cosa diciamo?
“Il talento non gli manca la passione anche. Ha 16 anni ed è reduce da un importante stage negli Stati Uniti. Spero vivamente che sentiate parlare di lui nei prossimi anni”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.