
È stato un ottimo corridore ciclista, una spalla, ma all’occorrenza anche una buona prima punta. Parliamo al passato perché oggi è mancato Claudio Michelotto, di Roveré della Luna, al confine tra le province di Trento e Bolzano e che per questo, in una telecronaca della Rai, l’indimenticato Adriano De Zan, arrivò a definirlo “il ciclista lunare”.
8 giugno, 1971, il ciclista lunare corre in maglia rosa la tappa da Lienz a Falcade di 195 chilometri con il Passo Tre Croci, il Falzarego, il Pordoi e il Passo Valles da scalare. Michelotto è in rosa da dieci giorni e parte ancora con la maglia da leader e con 1 minuto e 22 secondi di vantaggio sul “vecio” Aldo Moser (che in quel Giro indossò per un giorno la maglia) e due minuti su Gosta Petterson. Gimondi è furioso per le accuse di aver voluto attaccare Michelotto sul Grossglockner.
Michelotto corre per la Scic, Gimondi per la Salvarani, Petterson per la Ferretti. Tutti marchi di cucine componibili. La tappa, per Michelotto – ancora in maglia rosa a quattro giorni dal termine del Giro è un calvario. A fine gara è balbettante per lo choc, sanguinante per una caduta nella discesa dal Valles. Dirà all’arrivo: «E’ la vita. Non ho dormito, stavo male fin da stamane, una foratura ha provocato il capitombolo. Avevo appena iniziato l’ultima discesa, stavo spingendo a fondo, queste sono le strade di casa mia. Mi si è afflosciato il tubolare posteriore, la bicicletta ha sbandato come impazzita, sono volato sull’asfalto, sono rotolato giù per una ventina di metri. Sanguinavo parecchio, mi sono annodato un fazzoletto alla meglio, ho proseguito come in “trance”. Ma il telaio era storto, i freni non funzionavano più bene, in ogni curva ero costretto a strisciare i piedi per terra. Ho cambiato bicicletta, negli ultimi chilometri mi sembrava quasi di non sentir più dolore, sentivo soltanto il sangue che mi scorreva sul volto. Poi mi sono mancate le forze, non ho più capito nulla…». Il ciclista lunare non aggiunse altro.