
Una terra, quella di Valtellina, che ha ospitato storici momenti di ciclismo, legati soprattutto al Giro d'Italia. E proprio in attesa dell'ennesimo pèassaggio e arrivo di tappa della corsa rosa, vi proponiano un viaggio in quattro puntate alla scoperta della Valtellina, delle sue montagne, della sua natura e, naturalmente, delle sue storie di ciclismo.
Ed entriamo nella storia del ciclismo in Valtellina, seguendo l'ordine cronologico degli arrivi di tappa del Giro d'Italia.
SONDRIO - 1939
È stato il primo arrivo in Valtellina e l’onore della primogenitura è toccato al capoluogo. Penultima tappa da Trento a Sondrio con il GPM al Passo del Tonale. Vinse la tappa e indossò la maglia rosa che aveva tenuto a lungo prima di lasciarla il giorno prima a Bartali. Giovanni Valetti, scalatore piemontese, vincitore del Giro 1938, vide il campione toscano in difficoltà sul Tonale. E giunse in rosa al traguardo finale di Milano per un bis di valore.
SONDRIO – 1956
È una volata di gruppo, vinta dal veloce spagnolo Miguel Poblet, quella che conclude questa breve tappa, km. 98, da Lecco al capoluogo della Valtellina, dapprima sulle sponde del lago di Como e poi nella bassa Valtellina. Un Giro che vivrà poi la drammatica, ancorché leggendaria, tappa del Bondone, in Trentino.
Nel 1992 è un corridore con famiglia d’origine valtellinese, di Grosotto, Marco Saligari, ad essere profeta in patria, e per distacco, vincendo nel capoluogo con Miguel Indurain incontrastato padrone assoluto della maglia rosa, la tappa che partiva da Palazzolo sull’Oglio.
BORMIO – 1953
E qui nascono il mito e la leggenda del Passo dello Stelvio, abbinato a quella già in essere di Fausto Coppi, il “campionissimo” per definizione.
Anche in quest’occasione è la penultima tappa con partenza da Bolzano.
E lo STELVIO, percorso per la prima volta da una corsa ciclistica, voluto dal “patron” Vincenzo Torriani, è il giudice temuto da tutti. La maglia rosa alla partenza era vestita già da parecchie tappe dall’elegante e forte campione svizzero Hugo Koblet con un vantaggio di 1’56”. Sembrava saldamente al comando e in controllo la sera della vigilia del passaggio sullo Stelvio. Sembrava…, appunto. Il mattino della partenza, gli amici di Coppi indagano un po’ e ritengono di rilevare segni e qualche indizio sussurrato di una nottata non molto tranquilla passata da Koblet. E gli occhiali da sole calzati già di primo mattino dall’elvetico sono interpretati dai “marpioni” in maglia biancoceleste della Bianchi come una conferma delle voci che circolavano e, soprattutto Ettore Milano, il fido consigliere del campionissimo con Sandrino Carrea, corridore di straordinaria forza, mettono a punto con Fausto Coppi un piano d’attacco da lontano al portatore della maglia rosa. Un piano che Coppi finalizza da par suo lungo i 48 tornanti in salita dello Stelvio percorso dal versante altoatesino della Val Venosta con pareti di neve ai lati della strada alle quote maggiormente elevate. Segue poi il “tuffo” in discesa verso Bormio dove Fausto Coppi è primo e veste la maglia tosa con Koblet che salva il secondo posto in classifica accumulando però un ritardo di 1’29” dalla nuova maglia rosa. Una tappa iconica che resta scolpita nella storia, e pure nella leggenda, del ciclismo così come lo Stelvio, teatro maestoso per una grandissima recita del “Campionissimo”.
La spettacolare strada dello Stelvio è stata voluta dall’imperatore d’Austria Francesco I: fu progettata e realizzata dall’ingegnere capo della Provincia di Sondrio, il bresciano Carlo Donegani che ne è l’autore con i lavori che durarono tre anni. Fu inaugurata nel 1825 ed era il collegamento più veloce e diretto fra Milano e Vienna, tutto in territorio sotto la giurisdizione austriaca, senza necessità quindi di passaggi in terra veneta o elvetica. Il valico, fino al 1915, era percorribile tutto l’anno dal servizio di diligenze grazie all’opera continua di centinaia di spalatori che vivevano nelle otto case cantoniere, ripartite sui due versanti, una vita durissima e che ospitavano, quando necessario, i viaggiatori e i cavalli. I moti collegati alla prima guerra d’Indipendenza del 1848 provocarono danni severi ai tunnel rendendo difficile il passaggio e questo spinse io governanti austriaci a potenziare i passi del Tonale e dell’Aprica. Con la seconda guerra d’Indipendenza, nel 1859, la Valtellina e l’intera Lombardia confluirono nel regno di Sardegna diventato poi Regno d’Italia nel 1861.
E il passo dello Stelvio ne costituiva il confine e nella zona durante, il primo conflitto mondiale, dal 1915, fu teatro di dure battaglie fra i due eserciti contrapposti. Un museo al Passo Stelvio ne tramanda la storia ai posteri.
Il versante lombardo parte da Bormio, presenta il piano viabile lungo km. 22 circa con 34 tornanti e sei gallerie paravalanghe nella bellissima valle del Braulio mentre, per quello del Trentino-Alto Adige, in Val Venosta, i numeri riferiscono di uno sviluppo di poco meno di km. 28 con 48 tornanti, assai panoramici, a spirale, lungo il fianco della montagna.
È considerato un valico con vocazione soprattutto turistica, al confine fra Italia e Svizzera, quello del Giogo di Santa Maria oppure Passo dell’Umbrail (m. 2503), il valico carrozzabile più alto della Svizzera, che mette in comunicazione il cantone svizzero dei Grigioni con l’Alta Valtellina, aperto al traffico nel 1901, che offre spettacolari visioni sulla sottostante Val Monastero, in territorio svizzero e su quella di Fraele. Il passo dell’Umbrail, completamento asfaltato dal 2015/16, è raggiungibile dal versante valtellinese dopo la IV cantoniera.
Dai due versanti “classici” dello Stelvio (il nome è quello di un comune del versante altoatesino, Stilfs e Stilfers Joch è il passo dello Stelvio in tedesco) sono proposti panorami di larga presa emotiva e suggestivo impatto nell’ambientazione dell’estesissimo Parco Naturale dello Stelvio, fra le più grandi riserve naturali d’Europa, che tocca Il Trentino-Alto Adige e la Lombardia, nelle Alpi dell’Ortles-Cevedale, delle Alpi di Livigno e del gruppo Sobretta Gavia. Un grande sviluppo alle attività praticabili al Passo dello Stelvio è stato dato dagli anni 1950 dalle iniziative intraprese da Giuseppe Pirovano, il “Piro”, grande scalatore e alpinista bergamasco con la moglie Giuliana Boerchio, giornalista e editrice del quotidiano La Provincia Pavese, con molteplici iniziative di tipo turistico e sportivo d’avanguardia per i tempi come l’Università per lo sci.
Erano i referenti esperti degli organizzatori del Giro d’Italia e che, oltre a saper “leggere il tempo”, in anticipo, individuavano con immediatezza contingenze improvvise sempre possibili a quelle quote e ponendovi pronto rimedio. A tale proposito, nell’anno 1975 con l’arrivo finale in cima con il duello Bertoglio-Galdos, dalle 4 del mattino alla medesima ora pomeridiana, per otto volte si alternarono neve, pioggia ghiacciata e sole. Così come accadde nel 1972 nella breve Livigno-Passo dello Stelvio, primo arrivo di tappa aggiudicato sulla sommità dopo l’arrivo d’emergenza nella frazione, con partenza da Madesimo, del Giro 1965 che prevedeva l’arrivo a Solda ma fermata in cima al passo per neve e intransitabilità della discesa. La vittoria di tappa fu dello spezzino Graziano Battistini. Vittorio Adorni confermò la sua maglia rosa che indossò fino al traguardo finale di Milano.
Per portare le strutture indispensabili per allestire l’arrivo in cima, anche se ridotte, era necessario il trasbordo notturno dei materiali dagli autotreni dell’organizzazione, impossibilitati a superare i tornanti per la lunghezza, sui mezzi speciali delle aziende Sertorelli e Confortola, gli unici adatti per superare i tornanti dello Stelvio.
Qualche volta lo Stelvio, pur annunciato nel percorso, mostrò il suo carattere più arcigno e non fu affrontato per “impraticabilità del campo”, si direbbe nel calcio, e vivaci conseguenti polemiche. Quando è stato percorso ha comunque sempre fatto il suo “dovere”.
Nel 1972 la breve tappa – km. 80 - partente da Livigno con arrivo sulla cima di Re Stelvio il furetto spagnolo Josè Manuel Fuente infarcì la sua corsa di scatti ma Merckx conservò agevolmente la sua maglia rosa.
Nel 1975 il Giro d’Italia pose qui il suo traguardo finale con la frazione che partiva da Alleghe, nel Veneto. La maglia rosa era vestita, un po’ a sorpresa, dal bresciano Fausto Bertoglio dopo la cronoscalata a Il Ciocco di una settimana prima. Lo scalatore spagnolo Francisco Galdos lo tallona a breve distanza, solo 41 secondi. I 48 tornanti del versante altoatesino sono decisivi perla vittoria finale. I due duellanti affrontano in coppia la scalata con Galdos nella funzione d’attaccante ma la difesa di Bertoglio è di grande valore e tallona sempre lo spagnolo al quale va la vittoria di tappa ma Bertoglio, in rosa, è ancora valorosamente alla sua ruota. Fu un duello testa a testa di grande impatto emozionale vissuto dagli appassionati presenti e pure da milioni di ascoltatori di radio Rai attraverso una radiocronaca rimasta negli annali. La consorella cieca della televisione in quell’occasione ci vide oltremodo bene poiché Rai-TV, ancora in conseguenza dell’austerity del 1973, proponeva ancora il Giro d’Italia con immagini montate e in differita, in orario preserale. E fu l’occasione d’ascolti boom, pur se in differita, anche per la Rai-Tv.
E il Re Stelvio deve attendere il 2012 per proporre l’arrivo della frazione partente dal Caldes, in Trentino, la penultima, che prevedeva l’antipasto, piuttosto forte, del Mortirolo. Il belga Thomas De Gendt, che h ada poco concluso la sua carriera, con azione iniziata in Valtellina, giunge a braccia alzate al traguardo con Damiano Cunego secondo a 56”. Lo spagnolo Joaquin “Purito” Rodriguez conserva la maglia rosa che, però, cederà nella cronometro conclusiva di quel Giro a Milano al regolarista canadese Ryder Hesjedal che vince la corsa rosa per 16” sul popolare scalatore iberico.
Poi, da allora, il “re” si concede solo per passaggi di tappe, ovviamente importanti, valorizzate dalla sua imponente presenza e, fra le quali, la Cles-Bormio del 1980 con l’impresa, grande, firmata dal campione francese Bernard Hinault che ha finalizzato un lavoro di squadra ideato dal direttore sportivo, il furbo Cyrille Guimard, imbastendo una recita, accompagnato dal compagno di squadra, Jean-Renè Bernaudeau, salendo lungo i 48 tornanti del versante della Val Venosta, staccando Wladimiro Panizza, veterano stagionato e sempre combattivo, in maglia rosa da sei giorni e che cullava il sogno di una vita, giungendo a Sondrio con un vantaggio di 4’20”. E per ripagare il lavoro del compagno Hinault non staccò mai Bernaudeau e gli concesse l’onore di transitare per primo sia al mitico G.P.M. e pure la vittoria di tappa. Poco tempo prima Jean-René Bernaudeau aveva perso un fratello più giovane per annegamento accidentale in un laghetto.
“Le Stelvio” è il nome del ristorante di Antigny, nella Vandea, la regione di Bernaudeau, aperto dopo la fine della carriera che continua l’attività tuttora anche se la gestione è stata cambiata dopo che il fondatore ha intrapreso la carriera di manager di squadre, con successo, nel professionismo ciclistico conservando comunque la proprietà.
E “Stelvio” è un nome, un’emozione che coinvolge tutti gli amanti delle due ruote, a livello mondiale, e non solo. E sono molteplici, e in diversi versanti, ovunque, i motivi d’affezione riverente e riconoscente per questa “montagna sacra” del ciclismo mondiale.
2 - continua