L'ORA DEL PASTO. ZANDEGU', LA GBC E QUELLA VITTORIA... CON LA PISTOLA

STORIA | 16/07/2022 | 08:05
di Marco Pastonesi

Dino Zandegù ha un’altra storia da raccontare e un nuovo retroscena da confessare: “Vigilia del Giro del Piemonte 1971. Felice Gimondi, che aveva appena conquistato la medaglia d’argento ai Mondiali vinti da Eddy Merckx a Mendrisio in Svizzera, era ospite di un programma in tv a Milano. Noi lo aspettavamo in un grand hotel a Stresa, sul Lago Maggiore. Gimondi arrivò per la cena. Quando il cameriere gli porse la carta dei vini, Felice disse che sarei stato io a sceglierli perché me ne intendevo di più. Era vero, ma non mi sembrava vero, anche perché Felice, di complimenti, non ne faceva tanti. Così colsi l’occasione per festeggiare il nostro capitano e ordinai Champagne Cristal come aperitivo, poi Barbaresco di un’annata speciale e poi Barolo di un’annata ancora più speciale. La mia scelta fu apprezzatissima. Gimondi beveva poco, ma bene, e fu contento. Io bevevo tanto, a volte bene e a volte male, e fui contentissimo. I miei compagni bevevano poco, ma quella volta tanto, ed erano più che contenti. Alla fine della cena il cameriere chiese a Gimondi di firmare la ricevuta, ma Felice non ebbe dubbi: ‘I vini li ha ordinati Zandegù, è giusto che sia lui a firmare’. Inorgoglito, impugnai la penna e ricamai il più bell’autografo della mia carriera. Per la cronaca: il giorno dopo Gimondi vinse il Giro del Piemonte e io mi ritirai”.


Ci volle una settimana perché il conto del grand hotel di Stresa arrivasse nella segreteria della Salvarani negli uffici di Baganzola, dove la signora Donatella, neanche fosse una meteorologa, faceva il bello e il cattivo tempo. Zandegù: “La signora Donatella mi telefonò per chiedermi un’informazione. Non riusciva a spiegarsi perché il conto del vino fosse più del doppio di quello del cibo: 780 mila lire il vino, 380 mila il cibo. Glielo spiegai nei dettagli, citando marchi, cantine, annate, aromi primari e secondari, sentori più o meno fruttati. Mi illusi di essere stato esauriente, invece fu una specie di suicidio. Senza volerlo, solo sull’onda dell’entusiasmo, avevo esagerato. Contratto in scadenza e la Salvarani non me lo rinnovò. E mi lasciò a piedi”.


Zandegù non si perse d’animo: “Alla Salvarani ero rimasto cinque anni. Ma ormai in salita facevo più fatica di quella che volessi immaginare, in discesa rischiavo meno di quello che dovessi fare, in volata andavo ancora forte ma c’era qualcuno che andava fortissimo, e comunque più forte di me. Così, non potendo cambiare mestiere, cambiai squadra”. E si trasferì alla Gbc: “Era un’armata Brancaleone. C’erano pistard, come il velocista Cardi e l’inseguitore Chemello. C’erano seigiornisti, come Arienti e Rancati. C’erano ciclocrossisti, come Guerciotti e Luciani. C’erano tre Moser, uno direttore sportivo e due corridori, e nessuno di loro tre era Francesco. C’erano gregari, come Lanzafame e Lievore. C’erano perfino degli svizzeri. La squadra era stata costruita, così mi dissero, a mia immagine e somiglianza, quindi è evidente che ce n’erano certamente di più belle. Comunque posso garantire che lo spirito era garibaldino, l’atmosfera goliardica, il clima mediterraneo soprattutto alla Tirreno-Adriatico e anche alla Milano-Sanremo. Alla Vuelta salii due volte sul podio, al Giro feci un quinto, per vincere dovetti aspettare di partecipare al Tour dela Nouvelle France, in Canada, due vittorie prestigiosissime e indimenticabilissime, perché furono le ultime due, dall’altra parte del mondo”.

Qualcuno osò chiamare Zandegù “l’eroe dei due mondi”, anche se – a dire la verità - questo titolo era già stato attribuito. E sempre a dire la verità, Zandegù ha una rivelazione: “In una di quelle due volate ero arrivato nettamente secondo. Ma il photofinish non c’era e ci si basava sulla parola. L’organizzatore, Cornelli di Pescara, che mi amava, disse di avermi visto primo, mentre il presidente della giuria, che neanche mi conosceva, giurò di avermi visto secondo. Cornelli insistette, il presidente di giuria pure. Finché Cornelli estrasse una pistola e il presidente di giuria si convinse. Il giorno dopo, sul giornale, si vide che ero mezzo metro dietro. Ma ormai era fatta”.

 

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