QUARANTOTTO ANNI FA, MERCKX-COLNAGO, UN RECORD SENZA TEMPO

COMPLEANNO | 25/10/2020 | 10:45
di Pier Augusto Stagi

Quarantotto anni fa volò ad oltre quarantanove chilometri all’ora. Un’ora che si ferma, per un percorso che si allunga, si dilata e avanza di poco di tanto, ma va oltre ai limiti umani e quel giorno, quel 25 ottobre del 1972 sulla pista di Città del Messico Eddy Merckx superò i propri limiti di uomo che sa andare oltre, fiaccato dalla fatica, su quella bicicletta color camoscio della Molteni realizzata dalle mani sapienti e veloci di un uomo che ha sempre creduto ai sogni: Ernesto Colnago.


Un’ora per l’eternità sportiva, per restare ed essere ricordato. Un record fissato nell’infinito mondo, dove il tempo ha il potere di perdere tempo e quasi fermarsi.


A soli diciotto giorni dalla vittoria dell’ennesimo Giro di Lombardia vinto, il fuoriclasse belga percorse sulla sua Colnago 49,431 km/h. Una bici che per l’epoca era semplicemente pazzesca, un telaio "a diamante", con un peso mai raggiunto in precedenza di 5,750 chili. Tenete presente che dal 2000 l'Unione ciclistica internazionale ha stabilito, per motivi di sicurezza, che il peso delle bici non possa scendere sotto i 6,8 kg. Un telaio fatto con tubazioni Columbus di 0,4 millimetri di spessore, e solo l'obliquo, più il triangolo posteriore che deve sostenere la potenza di spinta, avevano uno spessore di 0,7 mm, praticamente la metà di una buona bici da corsa dell'epoca. Il manubrio forato 48 volte; la catena Regina di 100 maglie esatte, forata anche questa a mano dallo stesso Maestro di Cambiago 200 volte, per un risparmio di 95 grammi. I mozzi erano torniti dal pieno di titanio, quello posteriore aveva addirittura i cuscinetti a vista, per l'eliminazione dei parapolvere (2 o 3 grammi di guadagno). Raggi e attacco manubrio erano stati ordinati a Pino Morroni, un romano classe 1920 che si era trasferito a Detroit per imparare tecniche nuove. La ruota anteriore era radiale, ovvero senza alcun incrocio dei raggi. Un capolavoro, un’opera d’arte.

Oggi, quarantotto anni dopo, l’immancabile telefonata. Eddy che chiama Ernesto, i due che si parlano e ricordano: si augurano ogni bene. Il Maestro che chiese all’ora al Cannibale del tempo, e il belga accettò la sfida. Quei due sono tempo sottratto al tempo, dove il tempo è immobile e i ricordi ritornano. Sempre. Almeno ogni anno.

 

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