BALDINI, NIBALI E IL CICLISMO DELLA POESIA

INTERVISTA | 19/06/2019 | 14:14

«Non trovo che il ciclismo di oggi, seppur molto più tecnologico, sia poi troppo diverso da quello dei miei tempi. Conta sempre l’uomo e soprattutto la testa dei corridori, intesa come volontà di fare un lavoro di sacrificio e di fatiche». Parole e ‘musica’ di Ercole Baldini, a metà strada fra il Giro d’Italia, passato anche quest’anno dalla Romagna, e il Tour de France, in partenza il 6 luglio. A 86 anni compiuti il 26 gennaio, il Treno di Forlì è sempre attentissimo al suo sport, dalla sua casa museo di Villanova, e si accinge all’ennesimo anniversario personale da celebrare: 60 anni fa, al Tour appunto del 1959, conquistava la sua ultima grande vittoria internazionale in linea, trionfando nella tappa di Aosta.


Baldini, già campione olimpico in linea a Melbourne nel 1956 (unica medaglia ai giochi di un forlivese), veniva da quello stratosferico 1958 culminato nel colpaccio al Mondiale di Reims dopo aver vinto il Giro d’Italia, ma a inizio 1959 un’appendicite ne aveva frenato la preparazione. Fra l’altro quel Tour iniziò in un caldo afoso e lui soffrì moltissimo la cronoscalata del Puy de Dome: aveva dovuto dormire a valle e non era nemmeno riuscito a riposarsi, così pagò molto ai rivali ben più freschi. «Pensai di ritirarmi – ricorda –, invece ebbi un moto d’orgoglio». Così, spinto anche dall’entrata della corsa francese in Italia, nel giorno della festa nazionale transalpina (il 14 luglio) lasciò il segno. C’era da scalare l’Iseran, colle molto impegnativo, «ma era una montagna – spiega – adatta alle mie caratteristiche, lunga e costante nella pedalata. E li ritrovai – osserva con orgoglio – l’Ercole che conoscevo». Arrivò così con la sua maglia iridata solitario al traguardo. «Se penso che sono passati ormai sessant’anni faccio fatica a crederlo, tanto è vivo il ricordo di quei giorni nella mia memoria».


Ricordi che rivivono anche con i tanti cimeli che lo attorniano, ma lui ama guardare ancora avanti e al ciclismo, con passione e attenzione. «Un corridore che direi interpreti il ciclismo come un tempo – sottolinea – è Vincenzo Nibali, una bandiera per l’Italia, e spero che i giovani che si sono messi in luce anche nel recente Giro sappiano rimpiazzarlò. Mi permetto di dire che Vincenzo è un Coppi o un Bartali dei nostri tempi». Non un Baldini? «Beh, potrei citare piuttosto il belga Eddy Merckx, il più forte di tutti i tempi. Io? Qualcosa di bello ho fatto, in un ciclismo che oltre all’agonismo era anche rispetto per i colleghi pure delle altre squadre, tutti compagni di viaggio. Insomma un ciclismo che era anche poesia». Un Baldini che, nonostante gli acciacchi dell’età, è ancora un fuoriclasse nella sua capacità di analisi e con una memoria storica da campione.

da Il Resto del Carlino - ed. Forlì

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