SOFFI AL CUORE. DEN HARTOG E L'ARALDICA DEL CICLISMO

STORIA | 07/06/2018 | 14:54
Certe volte, il tempo sembra finire due volte. E la scomparsa di Arie Den Hartog, che fu il primo ciclista olandese a vincere nel 1965 la Milano - Sanremo, maglia Ford - Gitane, il dorsale destinato '65', ha tante delicate sfumature di congedo.

Den Hartog, e quei due favoriti italiani in fuga raggiunti sul Poggio, e non due banali, Vittorio Adorni e Franco Balmamion, e poi regolati in uno sprint sin troppo ovvio su via Roma. E quel nostro secondo a Sanremo, Vittorio Adorni, che ce lo ricordava ancora: “Den Hartog e quella 'Sanremo' mi hanno tolto il sonno per tante notti, tanto che a mia moglie, che ama tanto i fiori, avrei addirittura imposto di non farmi mai trovare un tulipano in giardino, almeno per un po' di anni...».

Ma con Den Hartog, una carriera brevissima, più del suo sprint, primo olandese a conquistare la 'Sanremo' e primo olandese a vincere, ancor più per loro, l' Amstel Gold Race, nel 1967, il tempo più curiosamente finisce due volte. 

Finisce, una seconda volta, quell’incanto letterale che ci faceva interrogare un giorno sulle varianti glottologiche, in chiave limitatamente ciclistica, dei Paesi Bassi. Arie Den Hartog, il veloce luogotenente di Anquetil, e nessuna parentela, nessun legame familiare con Fedor Den Hertog, un corridore completo e solido che corse pure da dilettante con Moser e parlava bene l’italiano, medaglia d' oro nella 100 km a squadre nelle Olimpiadi di Mexico 1968, scomparso qualche anno fa, e neppure con Nidi Den Hertog, il fratello minore, e molto meno forte, di quest’ultimo. Nulla a che vedere, per la variabile accidiosa di una vocale diversa in un genitivo familiare, che ce li ha fatto considerare sempre parimenti congiunti almeno di bicicletta, sempre germani di uno stesso virtuale albero genealogico.

Come i van Katwjik, come i Desmet, come i Planckaert... Almeno per la nostra, così parziale e democratica, sarà il ciclismo, lettura dell’araldica.

Gian Paolo Porreca
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