GIROTONDO. I PENSIERI DI MARCO

GIRO D'ITALIA | 13/05/2018 | 07:05
Era passato da solo in mezzo agli ultimi muri di neve. E poi era passato da solo in mezzo alla gente, la gente che lo aspettava dalla notte prima, che aveva trascorso un giorno intero sotto il diluvio soltanto per vedere proprio quello: Marco Pantani in testa al Giro d'Italia. Gli erano corsi incontro, e poi gli erano corsi a fianco, e quando non ce l'avevano fatta più gli erano corsi dietro. E poi a un certo punto lo avevano perso, e avevano potuto soltanto immaginare quello che era successo pochi metri più in là, sotto il traguardo. Pantani aveva chiuso gli occhi, aveva alzato il braccio destro, un gesto a metà fra la felicità e il saluto. Come dire eccomi, sono tornato. Aveva appoggiato a un furgone la nuova Bianchi nera ultraleggera ed era andato a completare la collezione di trofei. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, alla maglia rosa: tanto che sul palco - sacrilegio - l'aveva usata per stappare una bottiglia di spumante che non voleva aprirsi. Panta sorrideva e bagnava quelli di sotto, che tanto avevano preso l'acqua tutto il giorno. «La maglia rosa? Penso che la ridarò via subito, nella crono. Anzi, me la prenderanno. Pagherò nella crono, è normale. Come era giusto non aspettare qui, cercare di guadagnare, visto che c'era la possibilità. Sono sempre secondi che mi potranno servire nell'ultima settimana».

Intanto l'aveva presa lui, rispettando la tradizione. Il giorno prima era arrivato Fabrizio Borra a rimettergli a posto la schiena - come l'anno prima al Giro e poi al Tour - e il giorno dopo puntualmente Marco aveva cambiato la corsa. Alla vigilia era arrivato su anche suo padre, Paolo, che aveva preso la funivia per aspettarlo in cima alla montagna. Ma appena fu giù dal podio Panta ci giurò che non c'era niente di programmato. Non si preparano a tavolino certe cose, si raccomandava. Era stata una giornata anomala, con tutta quell'acqua, avevamo patito noi ad aspettarlo sul traguardo, e la prima cosa che mi venne di chiedergli - una cosa banale, infantile, così poco tecnica - fu: Come stavi tu Marco? La sua risposta me la ricordo come se fosse adesso, e non fossero invece passati diciannove anni. Mi guardò serio negli occhi, indeciso se rispondermi ma che domande mi fai o invece prendermi sul serio. Mi prese sul serio, come faceva spesso, e disse questa frase che non ho ancora dimenticato. «Io ero molto pensieroso».

Panta era così, sapeva scegliere aggettivi che ti spiazzavano, un altro avrebbe detto che aveva badato solo a spingere sui pedali, o che aveva freddo, che aveva cercato di alimentarsi per non andare in crisi. Soltanto lui sapeva descriversi meglio di come avrebbe potuto fare chiunque. Salendo sul Gran Sasso, sotto l’acqua, correndo fra muri di neve, mentre l’Italia perdeva la testa davanti alla tivù, Marco Pantani era molto pensieroso. Con la seconda domanda avevo rischiato. Come minimo un’occhiataccia, a pensarci bene me la meritavo. Quali erano questi pensieri Marco? Un altro, non lui, avrebbe alzato le spalle, avrebbe guardato l’addetto stampa in cerca di ispirazione o di salvezza, avrebbe borbottato che pensava ad arrivare prima degli altri, che altro? Lui no, lui era Panta. «Volevo che scoppiasse la corsa, volevo vedere se in questo Giro bisogna attaccare o difendersi».

Non si preoccupava di andarsi a riposare, di coprirsi meglio, di scendere verso Ancona perché dopo ogni tappa ce n’è altra per andare a dormire. Erano successe delle cose di cui voleva parlare, perché una parola di Pantani poteva servire anche agli altri. Il tema del momento erano i doppi controlli, quelli del Coni che si sovrapponevano a quelli dell’Uci. I corridori accettavano quelli dell’Uci ma non volevano raddoppiare la pena. Così Panta parlò, con la maglia rosa e il sudore che gli si ghiacciava addosso. «Noi siamo disponibilissimi a fare i controlli che l'Uci riterrà opportuni. Ma non è giusto che ci sia sovrapposizione. Probabilmente arriveremo al punto che per rendere pulito questo sport ognuno di noi avrà una persona che lo segue giorno e notte, che va con lui a tavola, in bagno e anche a letto. Mi sembra che stiamo raggiungendo un limite intollerabile». Mancavano due settimane a Madonna di Campiglio.

Alessandra Giardini
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COMMENTI
Pelle d\'oca
13 maggio 2018 06:18 Randagio
Mamma mia...chi ha vissuto l\'era Pantani come me,e come me ha amato questo ragazzo oltre l\'atleta non può non avere la pelle d\'oca leggendo questo articolo.
Ci manchi Pirata,mai nessuno sarà come te.

storia
13 maggio 2018 09:52 aaaaa
Articolo veramente bello, fa rivivere il grande Marco, ma per piacere non si facciano allusioni a eventi di sola fantasia complottista (Campiglio). La storia è passata e non si può ignorare. Marco non voleva i doppi controlli perché probabilmente non li avrebbe passati, come poi è successo. Che Marco sia stato vittima di questo sistema marcio non ne fa un santo o un martire, d'altronde, come si capisce anche dall'articolo le cose le diceva apertamente. Era pur sempre un pirata non un angelo.
Gilberto Funghi

Pantani show
13 maggio 2018 13:04 SERMONETAN
Grande Marco,io ero presente con quel tempo infernale,pioggia neve, vento e te volavi via tra le nubi basse,avevo la pelle d\'oca quando l\'elicottero basso ti riprendeva,emozione unica,primo perché ti conoscevo,ho ancora il tuo cappello firmato e poi lo scalatore più forte al mondo dava spettacolo.

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