PROFESSIONISTI | 07/07/2017 | 07:17 C’è un italiano che fa un lavoro tipicamente francese in una squadra (quasi) tutta francese al Tour de France. Non è il principio di una vecchia barzelletta ma la storia vera di Ugo Demaria, 51 anni, astigiano, specialista in osteopatia, cittadino del mondo per vocazione. Nato a Casale Monferrato, diventa fisioterapista al CTO di Torino, poi decide di andarsi a specializzare in osteopatia a Marsiglia. Sei anni più tardi discute la tesi a Ginevra. «Il francese ce l’avevo già dentro, come tutti i piemontesi. L’inglese è quello imparato a scuola». L’altra delle sue lingue l’ha imparata quando ha sposato Marivì, spagnola. «E’ per lei che siamo andati a vivere a Ibiza. Le giornate di novembre in un paesino del Monferrato erano durissime. E la qualità della vita si è decisamente alzata, il mare è importante». A Ibiza crescono Greta e Matilde, dodici e nove anni, mentre il loro papà fa su e giù dagli aerei.
Negli ultimi anni il tempo alle corse è decisamente aumentato, e oggi Demaria è l’unico italiano della AG2R al Tour. «Catalunya, Trentino, tutti e tre i Grandi Giri, e a dire la verità quando si corre in Italia non devo fare soltanto l’osteopata ma anche l’interprete...». Per Demaria il ciclism0o è stato prima una passione poi un lavoro. Quando dice che «qui al Tour la cosa che mi manca di più è la mia bici», passa Romain Bardet e si mette a ridere. In realtà prima della bici c’è stato lo sci. «Ero un ottimo sciatore. E seguivo gli sciatori anche come osteopata. Il primo lavoro, nel ‘91, l’ho fatto con la Nazionale B di sci. Ho seguito Giorgio Rocca, Deborah Compagnoni. Adesso viene da me Matteo Marsaglia». Dallo sci alla bici qual è la strada? «Sciando ho avuto un trauma importante, mi sono rotto i legamenti, e ho iniziato ad andare in bici per recuperare».
E’ stato amore a prima vista. «In realtà correre mi era sempre piaciuto, a casa ho ancora la mia vecchia Legnano, ma i miei non potevano portarmi in giro e allora non ero andato avanti. Adesso vado spesso in bici, faccio le granfondo. E’ una cosa che mi aiuta molto nel rapporto con i corridori, conosco bene il gesto atletico e il loro gergo. Quando mi parlano dei rapporti che scelgono capisco immediatamente che muscoli hanno usato di più».
Il ciclismo professionale entra nella vita di Ugo nel 2006. «Arriva al mio studio Domenico Pozzovivo, mandato da un mio amico biomeccanico. Risolvo il suo problema, e cominciamo a lavorare assieme. L’ho visto crescere, è un po’ il mio fratellino. E’ stato lui a farmi conoscere all’AG2R». Demaria lavora con Reverberi nel 2010, e con l’Androni di Savio nei tre anni successivi. Due anni fa la squadra di Pozzovivo gli propone di seguire i corridori durante le corse italiane del World Tour: Demaria piace ai francesi, il legame si consolida. Da quest’anno segue la squadra in tutti e tre i grandi giri. «Continuo a fare consulenze ad Asti e ad Alba, ma adesso il tempo alle corse è tantissimo». Demaria dà una mano anche alla squadra femminile di Asti, la Servetto Giusta Alurecycling, che adesso è al Giro. Anche Pozzovivo, il «fratellino», quest’anno ha corso il Giro d’Italia. «Domenico è migliorato tanto nell’inverno perché abbiamo risolto un problema che si portava dietro dall’incidente alla tibia dovuto al gatto. Grazie alla collaborazione dei fisioterapisti che ne hanno curato il recupero ci siamo accorti che aveva forza nella gamba ma aveva perso controllo e sensibilità. Siamo intervenuti e adesso riesce a spingere meglio sulle due gambe. E quando corre si vede».
Al Tour le giornate sono tutte lunghissime, tipico dei giri di tre settimane. «Comincio al mattino prima della partenza con tecniche di inibizione muscolare, lo scopo è quello di detendere i muscoli. Ma ci vuole tempo, riesco a seguire non più di due o tre corridori. Dopo il traguardo invece c’è l’assalto: vengono da me tutti, finisco che è quasi mezzanotte. Curo chi ne ha bisogno, e cioè chi ha preso botte, chi è caduto. C’è Domont per esempio che sta correndo tutto rotto, ha problemi alle costole, un sacco di abrasioni. Quando si sdraia sul lettino sembra un vecchietto. Poi mi occupo degli altri, ho fatto un protocollo che chiamo Tor, trattamento osteopatico di recupero: uso tecniche che aiutano appunto il recupero, in un grande giro è fondamentale».
Durante la prima tappa in linea Bardet era nella caduta di gruppo a ventotto chilometri dal traguardo, con Froome, Porte e la maglia gialla. «Mi sono preso cura di lui immediatamente e quei due o tre problemini che aveva si sono risolti. Ora sta perfettamente». E vuole vincere il Tour. «Certo, lui vuole vincere sempre. Il problema è che il Tour lo vogliono vincere anche gli altri. Ma Romain è uno serio, preparato, intelligente, motivato e scrupoloso. Un ragazzo d’oro, sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Lo tratto due volte al giorno, i francesi hanno una grande cultura in questo senso».
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