STORIA | 06/03/2017 | 09:22 Mai mi sarei aspettato di essere in una cittadina al limitare del Deserto del Negev, Arad, e apprendere che nel suo cimitero da pochi mesi riposa una delle promesse più grandi del ciclismo degli ultimi anni. Un ragazzo ucraino, che ha vissuto in Italia a lungo prima di decidere di smettere con l’alto livello. Dimitro Grabowsky, un talento smisurato e che dopo aver appeso la bici al chiodo aveva iniziato a praticare anche il triathlon.
In Israele, ad Arad, cittadina realizzata grazie ad un programma di sviluppo governativo, vive la sua famiglia. Nella parte meridionale del Paese abbiamo incontrato pure la madre, evidentemente scossa per il fresco lutto. Difficile trovare le parole per esprimere, per di più in un’altra lingua, frasi sensate.
Al cimitero vi è, sulla tomba, un monumento che lo ricorda. La community dei ciclisti di Israele ha promosso una raccolta fondi per contribuire alla sua costruzione. La tappa con arrivo in salita della 2 giorni agonistica era dedicata al campione che si era trasferito da tempo in questo Paese.
Aveva avuto qualche difficoltà d’inserimento per via della lingua, parlava russo e italiano. L’ho conosciuto al Tour of Turkey dove sembrava essere tornato a buon livello. Tre anni fa, lo avevo reincontrato sul Mar Morto riconoscendolo dalla parlata in perfetto italiano. Il senso di rispetto per la sua figura è profondo e tra la gente c’è una persona che in particolare sembra affezionata a Grabo. Durante la commemorazione interviene per alcune precisazioni nel discorso dell’oratore. Non è un amico qualsiasi, è il suo migliore amico. Andrey Yampolsky, russo, ex pugile, ora nell’Esericito israeliano. Indossa un piumino con le grafiche di uno dei team in cui ha militato il campione. È forse un segno di appartenenza a dimostrare un legame ancora fortissimo.
Andrey racconta molte cose, di aver ospitato a casa sua per un anno Grabo. Non un amico. Un fratello. “Il professionismo non è facile – ci spiega – forse Dimitro si è trovato da solo fin dai primi anni quando correva in Belgio. Dopo aver smesso mi ha parlato tanto della sua carriera. Un ragazzo veramente buono, disponibile e sempre pronto ad aiutare gli altri. Era un campione del mondo, ma non lo ha mai fatto pesare. Vorrei che venisse ricordato per questo, innanzitutto per la persona che era”.
Sono tante le dimostrazioni di affetto che ho raccolto ad Arad. La campionessa israeliana su strada di ciclismo, Miriam Bar-On e il vincitore della classifica generale delle 2 giorni, Omer Godstein, hanno speso parole che testimoniano un legame profondo. “Nella tua tappa il tuo spirito era qui con noi. Sei il nostro angelo” il pensiero della campionessa. “I luoghi, l’atmosfera... erano Dima – la dedica del vincitore – e quando sono scattato era sulla mia spalla. I momenti che abbiamo passato assieme, i ricordi che porto nel cuore li conservo con gelosia. La mia dedica va a chi gli ha voluto bene e alla sua famiglia”. Anche questo è ciclismo, anche queste sono emozioni. Israele sa regalare sempre qualcosa di inaspettato.
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