SOCIETA' | 07/02/2017 | 10:12 Per esempio, gruppetto: per indicare quei corridori – veloci e velocisti in pianura, ma lenti e ritardatari in salita – che nei tapponi di montagna si staccano e vanno su e avanti con il proprio passo puntando a chiudere entro il tempo massimo. Gruppetto: in italiano, ma anche in francese e in inglese, in tedesco e in norvegese, in kinyarwanda e in swahili. Perché l’italiano era la lingua del ciclismo, nel suo gergo anche nobile: gregario, volata, scatto, crono, granfondo… Non solo era la lingua del ciclismo, sillabando sostantivi e coniugando verbi, ma ne era anche il governo, dettando calendario, corse, strade, e proponendo squadre, corridori, dirigenti. Poi le cose sono cambiate, la crisi economica, la globalizzazione, il terzo millennio, la grande corruzione, fino a trovare nuovi equilibri, o squilibri, con pericolosi equilibrismi.
Ma il fascino del ciclismo italiano - per le bici, per le sue industrie e i suoi artigiani, per la storia e la geografia rotonde come le pedalate perfette, e anche per la sua lingua – rimane. C’è chi diventa matto per una vecchia Dei o l’ultima Colnago, chi farebbe carte false per una maglia di lana Vittore Gianni o una tecnologica Castelli, chi si iscrive con un anno di anticipo all’Eroica o alla Maratona dles Dolomites o alla Nove Colli. E c’è chi – un’azienda statunitense specializzata in turismo a due ruote umane – ha preferito battezzarsi “InGamba” anziché “very capable”.
Ma a minacciare questo patrimonio, genetico e geniale, è la stessa Italia del ciclismo, che invece dell’italiano preferisce l’inglese, come se bastasse snaturarsi per risorgere (e non il contrario: valorizzando la propria natura). “Team” invece che squadra, “roster” invece di formazione, “location” invece di luogo, posto, sito, “training camp” invece di collegiale, ritiro, allenamento, “Roma Maxima” invece di Giro del Lazio… L’ultimo tradimento, e impoverimento, ciclolinguistico è la Coppa Italia, trasformata in Ciclismo Cup, metà in italiano e metà in inglese, segno di un avventuroso quanto doloroso compromesso. Ma così va la vita, o meglio, così va the life.
P.S. Solo in questo preciso istante mi ricordo che sto scrivendo per le News di tuttobiciweb: e qui casca l’asino, the donkey.
di contestare, interloquendo, con quanto sostenuto da il buon “Pasto”. La vera lingua del ciclismo era il francese. Non stradista ma “routier”, non appassionato ma “suiveur”, non cambio ma “derailleur”, no telaio ma “cadre”, non manubrio ma “guidon”, non falsa maglia ma “maillon maitre”, non corona ma “plateau”; e potrei continuare per ore…. Negli anni “60 “70 è entrato nel gergo qualche termine italiano, ma non è pregnante la cosa. Il vero fascino del ciclismo di casa nostra sono gli artigiani e le “case” che nei primi anni del novecento cominciano ad attingere alle vette della perfezione, per poi incantare le esigenze degli appassionati a tuttoggi; e anche qui non mi dilungo citando telaisti e artisti (quando la bici è un'arte...). Vantare il primato del ciclismo italiano è sempre più difficile perché si perde la memoria. Ma dobbiamo ricercare nei pochi neuroni validi che ci sono rimasti la bellezza della nostra lingua: diciamo RIFORNIMENTO e non pasta party; RUOTA e non wheel; FRENO e non brake. E poi, dai, lasciamo perdere Team Edition, carbon flow custom, brand e International Cycling..... Alla fine di questo postolotto, mi ricordo che anche io sto scrivendo un POST per tuttobiciweb e come Marco casco anch’io insieme al donkey…..
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