NIBALI: SONO PRONTO A SCATTARE

PROFESSIONISTI | 31/01/2017 | 07:00
«Se ho un sogno o un de­siderio? Certo che sì, ma lo tengo per me». Vin­cenzo Nibali viene dalla terra di Pirandello, ma la pensa come Edoardo De Filippo: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male», diceva il grande attore e commediografo napoletano. Quindi Vincenzo, alla vigilia di questa nuova vita sportiva, non tocca ferro ma si morde la lingua.

«Nella mia testa ho tante belle sensazioni, buone motivazioni e propositi, però lo sai che non amo fare proclami e dire ai quattro venti cosa desidero fare. Io ce la metterò tutta per divertirmi e se mi divertirò io, saranno in tanti a divertirsi con me».
Sta bene Vincenzo e si vede. Lo incontriamo poco prima di Natale, al termine del primo vero raduno di stagione con il Bahrain-Merida, il suo nuovo team.
«Sono felice di questa nuova avventura, mi ci voleva proprio. All’Astana ho trascorso anni fantastici, ho vinto mol­to e bene, e lì ho anche lasciato parte del mio cuore e tanti amici, ma forse era giunto il momento di fare qualcosa di nuovo e questo nostro nuovo progetto è quello che mi ci voleva a questo punto della mia carriera».

Hai 32 anni, non sei più un ragazzino, anche se a vederti sembri un bimbo che scopre sotto l’albero il dono di Natale più gradito: la bicicletta…

«Dici bene, questa nuova esperienza la sto vivendo proprio con questo spirito. Mi sento impaziente e curioso come un bimbo. Questa nuova avventura mi stimola e mi induce a fare sempre di più e sempre di meglio. E l’entusiasmo è proprio quello di un ragazzino. Quan­do mi è arrivata la nuova Merida, credimi, ero davvero emozionato. Il ciclismo è il mio lavoro, ma è soprattutto la mia passione. Il ritiro sostenuto in Croa­zia assieme ai miei nuovi compagni di squadra poco prima di Natale ci è servito proprio per cominciare a gettare solide basi di lavoro. Abbiamo iniziato a conoscerci meglio e a provare i materiali. Bici nuova, scarpe nuove, sel­la nuova, cambio nuovo, tutto nuo­vo, ma è bello rimettersi in gioco. O meglio, a me piace molto».

Facciamo un passo indietro: come è stato il tuo inverno?

«Buono, molto sereno. Diciamo che a causa dell’infortunio alla spalla rimediato a Rio ho riposato fin troppo. Pe­rò ne ho approfittato per stare con Em­ma e Rachele, i miei amori, con i miei genitori e i miei suoceri. Poi dieci giorni tutti per noi tra Bahrain e Du­bai: uno stacco vero e proprio che ci voleva assolutamente».

In bicicletta quando ci sei salito?

«Diciamo che non sono mai sceso, an­che perché mi serviva per impostare la nuova stagione. Ho pedalato tanto in mountain-bike: a me piace tanto fare fuori strada, mi diverte molto e capisco uno come Peter Sagan che la Mtb ce l’ha nel sangue».

Anche tu pensi ad un futuro in Mtb?

«Mai dire mai, anche questa può essere un’ipotesi».

Esordio in Argentina.
«Esatto, poi la mia stagione dovrebbe proseguire con l’Abu Dhabi Tour (corsa inserita nel circuito World Tour) dal 23 al 26 febbraio. Niente Strade Bianche, forse il Gp Larciano. Poi dall’8 al 14 marzo la Tirreno-Adriatico (vinta due volte, nel 2012 e nel 2013, ndr). Niente Sanremo. Ad aprile, allenamenti in altura a Te­nerife per la rifinitura in chiave Giro. Niente Giro del Trentino (che da quest’anno si chiamerà Tour of the Alps, ndr), né classiche delle Ardenne. Dal 18 al 23 aprile correrò invece il Giro di Croazia: sei tappe di cui almeno due molto impegnative. Mi servirà perché al Giro d’Italia do­vrò farmi trovare su­bito in palla: alla quarta tappa c’è già l’Etna che ci attende, e lì non si scherza».

Il Giro è il tuo grande obiettivo di stagione?
«È una corsa che mi piace da pazzi e farò di tutto per essere all’altezza del mio ruolo e della mia storia».

Se vinci il Giro per la terza volta raggiungi, come numero di Grandi Giri conquistati, un signore che risponde al nome di Felice Gimondi, che in carriera seppe vincere tre Giri, un Tour e una Vuelta…
«Lo so e mi piacerebbe davvero riuscire ad eguagliarlo, anche perché Gimon­di è un atleta e una persona eccezionale. Ma è anche giusto ricordare che Fe­lice in carriera ha saputo vincere di tutto e di più con quel Merckx tra le ruote».

Ma tu sei nel pieno della maturità fisica e puoi ancora vincere molto.
«Vero anche questo, ma con le parole si fa ben poco. Occorre pedalare forte, molto forte».

La vittoria che più ami ricordare e rivedere?
«Il Giro di Lombardia: quel giorno ho fatto davvero i numeri. Mi sono piaciuto come poche altre volte. In discesa so­no stato davvero un drago. Forse non ero il più forte, ma lo sono stato. Poi considero una grandissima giornata quella di Arenberg al Tour del 2014. Quel giorno a vincere fu Lars Boom, io arrivai terzo alle spalle di Fuglsang, ma quella la considero come una vittoria. Sulle pietre della Roubaix sono andato davvero forte».

Lì in pratica hai vinto il Tour.
«No, questo no, ma ho certamente gettato le basi per la conquista finale della maglia gialla. Quel giorno ho capito che potevo davvero fare qualcosa di eccezionale, e i miei avversari hanno compreso che facevo assolutamente sul serio. È bene ricordarlo: in quel Tour vinsi quattro tappe».

E c’è chi ancora dice che sei stato fortunato…
«Può darsi, perché in una corsa di tre settimane la componente fortuna è de­terminante, ma ho perso per sfortuna anche tante corse. Una Vuelta, almeno un Lombardia, una medaglia olimpica: ci sta di avere qualche contrattempo. Chi è in equilibrio su una bicicletta sa che c’è il rischio di perderlo, quell’equilibrio».

Quanto ti rode la caduta di Rio?
«Ci credi che mi scoccia di più essermi rotto la clavicola? Certo, se ci ripenso un po’ mi girano ancora, ma lo ripeto, le cadute fanno parte del nostro me­stiere. Quel giorno stavo andando davvero molto forte, alla faccia di chi mi aveva anche esageratamente attaccato e criticato per tutto il Tour».

Quanto ti fanno male le critiche?
«Le critiche non piacciono a nessuno, ma quando si fa finta di non capire, allora c’è poco da dire. Io avevo parlato chiaro: vado al Tour per preparare l’appuntamento olimpico. Il Ct Cassani era stato altrettanto chiaro. Però non tutti hanno capito, o hanno preferito non capire».

Al Giro invece ti è andata bene, con un finale d’autore.
«È stato un Giro complicato, difficile per mille e più motivi. Poi la svolta di Risoul, con la caduta di Steven Kruij­swijk in maglia rosa lungo la discesa del Colle del­l’Agnel­lo. In quella circostanza io sono stato bravo ad essere lì, nel vivo della corsa, anche se il Giro l’ho vinto a Sant’Anna di Vinadio, a Risoul l’ha perso invece Chavez, che aveva la possibilità di metterci tutti in un cantone».

Come immagini il prossimo Giro d’Ita­lia?
«Duro, difficile e snervante come sempre. Però quest’anno le pressioni non saranno tutte e solo sulle mie spalle, saranno anche sulle spalle di Fabio (Aru, ndr) e non solo…».

Chaves, Mollema, Aru, Tejay Van Gar­deren, Pinot: tanti i probabili antagonisti.
«E credo che alla fine saranno anche di più. Ad esempio Ilnur Zakarin è un ra­gazzo che sta crescendo bene e non è assolutamente da sottovalutare. Ci sarà battaglia e con uno come Fabio c’è poco da scherzare. Lui non è corridore che gioca sulla difensiva: se sta bene, attacca. E quando decide di farlo, fa maledettamente male. Insomma, come si dice, comunque vada sarà uno spettacolo».

È possibile che ti si veda anche al Tour de France?
«Difficile, molto difficile ma non im­pos­sibile. Io da tempo penso che l’accoppiata sia quasi impossibile, però va­luteremo ogni cosa con calma dopo il Giro».

Il gruppo di lavoro per la “corsa rosa” è già stato fatto?
«È chiaro che è stato solo abbozzato, però penso che gente come Agnoli, Boa­ro, Visconti, Javi Moreno, Franco Pellizotti, Navardauskas, Siutsou siano tutti uomini adattissimi alla causa».

La squadra ti piace?
«Assolutamente sì, mi sembra che sia stato fatto un ottimo lavoro. Sonny Col­brelli, Niccolò Bonifazio, Enrico Ga­sparotto, Ion Izaguirre, Jon Ander Insausti (cugino di Ion Izagirre, ndr), Heinrich Haussler, leader per le classiche belghe, Borut Božic, Grega Bole sono tutti ottimi corridori. Poi abbiamo anche un bel gruppo di giovani promettenti come Ivan Cortina, Domen Novak e David Per, vincitore del Fian­dre Under 23, e il biker Ondrej Cink, co­sì come Luka Pibernik».

Vincenzo, come sta crescendo Emma?
«Bene, molto bene. Purtroppo per lei, mi vede spesso con la valigia. Ma se­guendo un consiglio del nostro pediatra di Lugano, ogni volta che devo partire, anche se Emma sta dormendo, io passo dalla sua cameretta e la saluto. Le parlo, la tranquillizzo: “Ciao amore mio, papà va via qualche giorno per lavoro. Ma torno presto, così giochiamo assieme”. Lei è molto consapevole del lavoro che faccio, ma ci sembra an­che molto serena. È troppo bello ve­derla crescere. Parla sempre meglio ed è vivace come poche».

Chissà da chi avrà preso…
«Chissà… io da bimbo ero semplicemente un indemoniato».

Proprio non vuoi dirmi qual è il desiderio di questa nuova stagione che sta per partire?
«Spero di non farmi male, di stare bene e di divertirmi. Se queste componenti ci saranno, i risultati non potranno mancare, però non ti dico niente. Per i bilanci c’è tempo: ne riparliamo tra qualche mese. I desideri si custodiscono, le gioie si condividono, le delusioni si celano».

Quindi buon anno.
«Buon anno a tutti, di cuore».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di gennaio
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COMMENTI
Il bello di Vincenzo...
31 gennaio 2017 21:27 noel
E che oltre alla sua classe, sa spesso inventarsi "qualcosa" di entusiasmante ,che per chi ama
questo sport è un gran divertimento, al di là del risultato finale . Vincenzo, si così ...

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