INTERVISTA | 24/09/2016 | 08:10 Il suo slogan è semplice e immediato: più prodotto e meno marketing. Qualcuno potrebbe sobbalzare dalla sedia, altri sorridere maliziosi o storcere il naso, ma molti sanno che Cristiano De Rosa, 53 anni, presidente del comparto bicicletta di Ancma da quattro anni nonché amministratore dell’omonima azienda fondata da papà Ugo, ha più di una ragione. «Sia ben chiaro: il marketing serve, eccome che serve. Ma non può essere la sola leva con la quale ci si muove sul mercato. Questo lo dico non per l’azienda che mio padre ha creato e che io e Danilo mandiamo avanti da anni, ma è quello che penso per tutti quei marchi che sono l’eccellenza del made in Italy. Oggi vediamo sempre di più aziende che passano con disinvoltura dalle start up allo storitelling. La verità è che la storia, la narrazione ce l’abbiamo proprio noi italiani, che per assurdo riscuotiamo più successo nel mondo che nel nostro Paese».
In che senso? «Nel senso che il made in Italy, la tradizione della progettazione italiana, la linea, la cura dei particolari e dei dettagli, la bicicletta davvero su misura la sappiamo fare noi e questo all’estero ce lo riconoscono e lo sanno perfettamente. Difatti ci seguono e ci vogliono. Qui da noi, invece, sembra che siano conquistati dall’esterofilia, che non paga, che non è la stessa cosa. Ecco perché dico meno marketing e più prodotto: i nostri competitor stranieri sono aggressivissimi in materia, ma se si pesano i prodotti, se li si accostano noi abbiamo qualcosa di più e di meglio. Lo si vede ad occhio nudo».
A proposito di chi è chiamato a vedere: sono appena terminate fiere e bike test di livello nazionale. Come sono andati? «A Friedrichshafen è andata bene, anche se qualcosa va rivisto, forse anche più di qualcosa. Verona (Cosmobike) alla fine ha dato quello che ci si aspettava, anzi, diciamo pure che ha dato molto di più delle attese: oltre 60 mila visitatori sono un ottimo risultato. Il Bike Summer Festival di Varano (Parma) e il Bike Experience a Galzignano Terme (Padova) sonno due format molto interessanti che hanno grosse potenzialità. Varano ha bisogno di diversi accorgimenti, Galzignano invece è partita subito con il colpo di pedale giusto. In ogni caso sono esperienze importanti, che vanno sviluppate. Oggi viviamo nell’era digitale, ma gli appassionati hanno sempre di più la necessità e il desiderio di toccare con mano i nostri prodotti. Noi come De Rosa è da anni che abbiamo intrapreso questa strada, è un modo per conoscere e avere un contatto sempre più stretto con i nostri appassionati. Perché, non dimentichiamolo, noi siamo scelti per passione».
Ma se ti dicessi: Milano. Cosa mi risponderesti? «Milano per una Fiera? Ci tornerei di corsa, su questo non ho alcun dubbio. Milano è l’epicentro mondiale della moda, la città dell’Expo, dell’innovazione e della ricerca: questa è anche la casa del ciclismo. E deve tornare ad esserlo».
Come sta il mercato della bicicletta? «Difficile ma in salute. Quest’anno si sono vendute un milione e mezzo di biciclette, e questo è un fatto molto importante. Corsa, gravel, mtb, fisso, city bike e via elencando: basta che si vada in bicicletta. Questo è quello che conta. Come ti ho detto, noi italiani in proporzione siamo molto più amati all’estero che tra le mura di casa, ma sono convinto che presto, molto presto anche questa tendenza sarà sovvertita».
Il primo mercato per De Rosa? «Giappone, dove noi siamo ormai un must. Ma anche in Asia e in Oceania stiamo crescendo moltissimo così come nel nord Europa».
Fresco anche il rinnovo con la Nippo Vini Fantini di Francesco Pelosi. «È un progetto giovane e molto interessante. Soprattutto è un progetto estremamente serio e concreto che coinvolge realtà industriali di primissimo piano. Certo, speriamo di vincere qualcosa di più e di meglio, ma quello che noi chiediamo è un’immagine adeguata al nostro brand. Prima vogliamo essere riconosciuti con un team serio, giovane, affidabile e ambizioso, poi possibilmente anche vincente. Sempre più vincente».
Come sarà la bicicletta del futuro? «Bella, affidabile, sicura e direi garantita. Ma dovrà anche essere adeguata all’acquirente, che oggi è sempre più competente, preparato ed esigente. Dovrà essere una bicicletta frutto del CAD, ma anche del cuore. E questo ultimo aspetto lo possono mettere pochi. Torno all’inizio: noi italiani abbiamo qualcosa in più, e dobbiamo fare in modo che questo arrivi sempre di più e sempre di meglio all’acquirente finale».
C’è un problema, un anello sempre più debole: quello dei dealer… «Non vale per tutti se Dio vuole, ma è così. Ci stiamo lavorando. Anche i negozianti devono capire che non basta più solo mettere lì una bicicletta per venderla».
Allora occorre un marketing più aggressivo… «Forse, sicuramente anche sotto questo aspetto va fatto un salto di qualità e andrà fatto sempre di più, ma alla base c’è sempre il prodotto. Noi investiamo nella ricerca, nella tecnologia, collaboriamo con Pininfarina: è marketing, ma è soprattutto prodotto. Storia. Emozione».
I freni a disco? «È una strada obbligata verso la sicurezza, avranno il loro spazio. Su questo non ho dubbi».
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