
La velocità è un’arte. Non è solo la variazione della posizione di un corpo rispetto al tempo, non è solo metri al secondo o chilometri all’ora, non è solo la luce nel vuoto. Ma è anche strategia e comunicazione, è attesa e tempismo, è esplosività ed esplosione, è simulazione e improvvisazione, è perfino – paradossalmente, incredibilmente – lentezza e immobilità. L’arte, appunto, della velocità. Quella del ciclismo su pista.
Lo ribadisce Marco Ballestracci in, titolo, “Nakano”, e sottotitolo, “L’impero del keirin”, 192 pagine, 19 euro, pubblicato da Mulatero per la collana di Pagine alvento. L’autore di “Imerio” e “Black Boy Fly” (per dire solo due delle sue opere sul ciclismo) prende la rincorsa, lunga, giugno 1945, battaglia di Okinawa, vinta, e agosto 1945, bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, subite, e Kokura, risparmiata, poi spiega l’azzardo di ricostruire il Paese puntando proprio sul gioco d’azzardo, il gioco è il ciclismo, più precisamente il keirin, gara di velocità, da quattro a otto concorrenti dietro una moto finché, senza più la moto, volano al traguardo. Volando nello spazio e nel tempo, luci nel vuoto, nel senso della velocità. Volando, anche nel senso della terra, piombando, franando, strisciando, ustionandosi e scarnificandosi, tra codate e sgomitate, si salvi chi può. I soldi scommessi investiti per restituire lavoro e speranza, edificare case e velodromi, anche imporre un’immagine vincente dell’impero giapponese grazie ai corridori giapponesi.
Ed ecco, allora, Nakano. Koichi Nakano. Figlio d’arte. Apparve al mondo nel 1976, i Mondiali sulla pista di Monteroni, superato in semifinale da Giordano Turrini e preceduto nella finale del terzo posto dal connazionale Joshua Sugata. Poi, dal 1977 al 1986, dieci titoli iridati consecutivi. Un dominio assoluto, dittatura tirannide monopolio, impero. Non nel keirin, che pure era la sua specialità, ma nella velocità, un duello meno collettivo e più personale, anche più occidentale, comunque diverso, se non altro perché i velodromi internazionali avevano un rettilineo più breve di quello dei velodromi giapponesi, e dunque era indispensabile modificare abitudini e tattiche e anticipare il momento in cui uscire dalla scia dell’avversario e avventarsi al traguardo.
Nakano, oggi quasi settantenne, era un concentrato di muscoli e fibre, rabbia e furia, tradizione e ispirazione. Ed è qui che Ballestracci coniuga una storia di velocità con la geografia della lentezza, proprio quella della tradizione e proprio quella della ispirazione, alla base della filosofia e dei successi di Nakano. Ma sì: gli appuntamenti, gli inchini, i discorsi. Ma sì: i proverbi, i detti, i principi. Ma sì: la saggezza, la filosofia, lo stile. Ma sì: il sake, la geisha, l’onorevole san. E da qui, con una grammatica studiata, un linguaggio rispettoso, una lentezza millenaria, ci introduce nelle traiettorie, nelle apnee, nei rischi. Il mondo della velocità. Decibel silenziosi, watt invisibili. E poetico, a suo modo. Perché lo stesso Nakano, che pure sembra così mitico e granitico, impassibile e imperturbabile, aveva un’anima profonda, un cuore sensibile. E nel momento dell’attacco, anche quello sui pedali, sentiva nell’aria una melodia di “koto”, il segnale di un auspicio favorevole.
E’ un romanzo, il “Nakano” di Ballestracci. Non una biografia, non un manuale, non un saggio. Ma un lungo racconto, che comincia lentamente, continua velocemente e finisce musicalmente, proprio con “il più benedetto dei suoni” e la sua “dolce melodia”.
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