
Egregio direttore, sono Gilberto Riaresi, un appassionato di ciclismo che segue, come secondo allenatore, una squadra giovanile lombarda della categoria allievi. Le scrivo questo messaggio perché vorrei partecipare al dibattito in corso sul suo giornale riguardo agli Swatt e alla vittoria di Conca.
La loro straordinarietà sta proprio in questo: leggendo, informandosi, facendo i “secchioni” con l’obiettivo – presuntuoso – di essere amatori che vanno più forte dei professionisti, alla fine ci sono riusciti.
La crisi del ciclismo italiano non è rappresentata dalla maglia tricolore che non si vedrà alle gare che contano, né dal disinteresse dei nostri assi (esclusi Milan e Covi) nel giocarsi il titolo nazionale, come se non avesse più valore. La crisi vera è un’altra.
È assurdo che un gruppo di appassionati con zero budget riesca ad accumulare abbastanza competenze e conoscenze da superare tante altre squadre più organizzate e strutturate – più “istituzionali”.
La crisi del ciclismo italiano è una crisi di competenze.
1. Competenza tecnica e scientifica
La prima è una competenza tecnica scientifica. Qui non parlo delle squadre professionistiche, dei bravi meccanici e degli ottimi tecnici e direttori sportivi che operano nel World Tour. Parlo delle categorie giovanili: allievi, juniores, under 23.
Parlo delle tante squadre che si affidano a volontari non retribuiti per allenare e far correre i ragazzi. Sono squadre dalla struttura agile, senza preparatori, nutrizionisti, biomeccanici adeguatamente formati per far fare il salto di qualità ai giovani e metterli in condizione di diventare i prossimi Remco, Ayuso, Del Toro che alla loro età già calcavano palcoscenici internazionali. Sono gli Juniores infatti oggi l'anticamera del professionismo. Ma chi dovrebbe insegnar loro a correre in molti casi non è aggiornato su cosa significa essere un professionista nel 2025.
Questo sottobosco è lasciato totalmente allo sbando. Alcune squadre sono forti, organizzate e ottengono risultati. Tanti altri corridori potrebbero essere talenti mancati solo perché capitati in una squadra "sbagliata".
Ci dovrebbero essere percorsi di ricerca e formazione, sponsorizzati dalla federazione, solidi e all’avanguardia, con ricircolo di tecnici tra le categorie professionistiche e quelle giovanili. Questo funziona nel basket, nella pallavolo, nel tennis. Applichiamolo anche al ciclismo.
2. Competenza organizzativa e comunicativa
La seconda è una competenza organizzativa comunicativa. Va bene che non tutti possono avere il body bianco come lo SWATT, ma il modello dello sponsor sulla maglietta per raccogliere finanziamenti è vecchio, defunto, e va assolutamente rivisto.
Il ciclismo è uno sport basato sulla pubblicità. Eppure i grandi gruppi industriali italiani non investono nelle squadre. Perché le aziende che mettono centinaia di migliaia di euro nel Giro-E poi non versano nulla a chi corre le gare vere?
Risposta: oggi molte squadre hanno un’immagine così vecchia e trista che nessuno vuole essere associato a loro. La federazione dovrebbe aiutare le squadre a trovare percorsi di finanziamento sostenibili e agevolare l’ingresso di sponsor ricchi, sia a livello pro, sia under 23 e giovanile. Solo con i soldi in mano si può uscire dal mondo del volontariato e far fare un salto di qualità alle nostre squadre giovanili.
Questo in sintesi significa insegnare alle squadre a comunicare meglio, a creare un brand e costruire una community intorno. In altre parole: a essere attrattive per investimenti pubblicitari, la vera benzina di questo sport.
In sintesi: scienza e comunicazione. Le due grandi opportunità che il ciclismo italiano deve cogliere per diventare di nuovo grande. La scorsa domenica la federazione ha avuto davanti, sul traguardo di Gorizia, il modello vincente.
La traccia da seguire è chiara. Ora è tempo di pedalare.
Gilberto Riaresi