ERA MIO PADRE. STORIA DI GIUSEPPE PECORARO, UN CAMPIONE DI VITA. GALLERY

STORIA | 09/04/2025 | 08:15
di Gaetano Pecoraro

Non ricordo bene se ha imparato prima a camminare o ad andare in bici, come se la passione per le due ruote vivesse da sempre nella sua mente. Quando penso a mio padre, penso subito alla sua tenacia, alla genuinità, alla persona più leale e vera che io abbia mai conosciuto.


Nato a Palermo nel 1929, ultimo di nove figli, di umile estrazione “popolare”, con tanto di orgoglio e dedizione verso il proprio lavoro, quell’orgoglio particolare che contraddistingueva per la dignitosa umiltà che occorreva nell’Italia del dopo guerra.


Parallelamente al lavoro duro dí gommista, ho avuto la fortuna di vederlo gareggiare in bici. Da sempre un vero spettacolo vederlo battere regolarmente i suoi colleghi spesso più giovani di lui. Era bellissimo vederlo in bici, rialzarsi sul manubrio in prossimità dello striscione d’arrivo per conquistare l’ennesima coppa che insieme ad altri trofei riempivano le stanze della nostra abitazione.

Magnifico in sella, con la bici realizzava una simbiosi perfetta. Uno spettacolo vederlo in discesa in quelle curve che sembravano addentare i rilievi siciliani e proprio due curve hanno segnato la sua vita: la prima in Francia, in una tappa del Giro del Delfinato che lo ha tradito togliendogli un sogno inseguito con tanta fatica (con la maglia del gruppo sportivo Girardengo, del quale solo pochi eletti potevano far parte), scivolando la levetta del freno che punta dritto il suo ginocchio lacerando così la sua grande passione per il ciclismo; la seconda in età amatoriale, a causa di un'auto incontrata in discesa, lo fece precipitare nel baratro oscuro portandolo lentamente alla fine.

Discutere di ciclismo con mio padre significava ripercorrere a ritroso un decennio di storia delle due ruote, ciclismo epico con pochi soldi e tanta fatica. Significava per esempio parlare delle maglie con tre tasche dietro e altre due davanti, così come i calzoncini, sempre e solo di filo di lana, pantaloni di fustagno alla zuava con dei calzettoni lunghi per l’allenamento invernale e sempre con un foglio di giornale tra una maglia e l’altra.

Mio padre era figlio di una cultura vera, caratterizzata da valori eternamente solidi, indistruttibili, quali la moralità, il peso della parola data, il coraggio di un uomo vero con la consapevolezza protettrice verso la famiglia, con la severità e il pensiero patriarcale tipico dei suoi tempi. L’autorità semplicistica di un padre che sarà sempre il mio primo insegnante della mia vita.

Mio padre è l'icona permanente della mia strada, anello di congiunzione fondamentale della mia formazione educativa, ha sempre conquistato tutto con coraggio, passione e determinazione.

Le sue innumerevoli vittorie sono ancora vive nel mio cuore. Soleva dire «nel ciclismo quel che semini raccogli, non puoi mai mentire al tuo corpo» ed il suo era un ciclismo profondamente segnato dalla fame del dopoguerra, quando molti diventano ciclisti per sfuggire alla propria condizione. Come Indipendente (Prof) con
Catalano (vincitore di una tappa al Tour) e Di Fiore ha dominato il palcoscenico Regionale e Nazionale, l'Agipgas e il team Cali-Broni Erg Girardengo, dove militavano Aldo Moser e  Arnaldo Pambianco, èstato un grande protagonista nel Giro di Sicilia e altre classiche Italiane.

Quest’Uomo è stato mio padre. Una volta gli chiesi perché amava così tanto il ciclismo: mi rispose che nella fatica delle due ruote lui era «Libero». E soprattutto aveva trovato il coraggio per vivere, niente gli faceva paura, la passione lo rendeva Felice

Semplicemente Grazie Papà, per la tua grandezza nascosta che mi segue ancora da lassù.

da Gli uomini che sanno colorare il buio


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