80 ANNI FA, COPPI E QUELLA PRIMA CORSA

STORIA | 28/03/2025 | 08:17
di Gian Paolo Porreca

Miracolosamente Fausto Coppi, il “Campionissimo” guadagna una luce postmoderna, in cima ad un batticuore, e a un ricordo gelosamente conservato, e mica solo da noi in Campania. E anche senza aspettare la speranza di una Sanremo prossima in shirt di seta, è vestito ancora come si usava in ma­glia di lana…


Torna in fondo inedito, ap­pena finita la Seconda Guer­ra Mondiale, quel Coppi arciconosciuto rientrato in patria ai primi di dicembre 1944 come prigioniero di guerra dalla campagna di guerra in Nord Africa, e at­tendente collaborante del tenente inglese Towel al cam­po della RAF di Ercole di Caserta. E che per incredibile dono per la Befana del ’45, grazie all’appello «Una bici per Coppi» di Gino Palumbo lanciato sulla Voce e alla generosità di un falegname di Somma Vesuviana, Giuseppe D’Avino, aveva ottenuto una Legnano, mon dieu lui che solo Bianchi in­forcava, per tornare ad allenarsi, o almeno solo a pedalare...


Ma qui comincia il Coppi nuo­vo, un Coppi che si ri­presenta alla memoria da agonista, che fra le macerie e le strade lacere come i cuori dell’hinterland napoletano, incrocia i pedali - e arriviamo alla storia e al ricordo pre­zioso - con un ciclista in­dipendente di Grumo Ne­va­no, non un campionissimo, però un ciclista che aveva già sfiorato su strada ai “Cam­pa­nia”, prima del conflitto. Si chiama Fortunato Cristiano, ed è di Grumo Nevano, un territorio devoto al ciclismo, i cognomi Belardo Reccia Maisto sfrecciano battaglieri, orgoglioso di uno dei primi Circoli in Italia che sia dedicato per esempio a Costante Girardengo... Nasce così di inverno una fraternità o una amicizia, in quei tempi di solitudine incredibile, per Coppi lontano dalla sua Castellanìa e dal suo amore doppio di figlio e di fidanzato, -  era poi un ragazzo di soli 24 anni -, in una narrazione sospesa che la fedele attenzione ad una affettuosa storia familiare di Marino Cristiano, imprenditore e pronipote di Fortunato, ci sprona a rinvigorire di luce non fittizia.

E succede così che il 25 febbraio del 1945, 80 anni fa, Fausto Coppi in divisa “Nul­li” torna per la prima volta a gareggiare in Italia, mica solo in Cam­pa­nia, e proprio a Gru­mo Ne­vano: e lo farà in un ciclocross, disciplina a lui, in­seguitore e scalatore, non consona, contro avversari lo­cali forti come Giu­sep­pe D’Amore di Brusciano, e quel Raffaele Abbate di Casoria che nel ’47 diverrà campione italiano di specialità.

Una gara, quella - ci ricorda Marino Cristiano, ed è vivamente confermata dai ritagli di giornale - che fu interrotta ad un giro dalla conclusione, «per motivi di ordine pubblico», tanta era la folla di appassionati accorsa ad ap­plaudire sul circuito il nuovo Coppi: ultimo vincitore del Giro e primatista dell’ora in carica...

Ottant’anni fa, non sbagliamo de­cade, e nasceva altresì quell’affetto incredibile di Fausto Coppi per Grumo e la famiglia grande Cristiano, industriali del legno, e che nella dimora ancestrale di Corso Garibaldi 64 avrebbe per un decennio ed oltre trovato un buen retiro, e la password del ricordo, quasi da cittadino onorario, anche nel suo universale percorso di gloria. «Veniva a trovarci con Bia­gio Cavanna, Ettore Milano e la sua corte, ogni volta che scendeva al Sud...».

80 anni fa, ed era appena nato quell’Arcangelo, il figlio dell’amico Fortunato, a cui Fausto farà da padrino alla Cresima: sentimenti e moti e riguardo, hai visto mai, dell’altro mondo.

E a cui in tale occasione, chissà se l’amico  Marino Cri­stiano ne ritroverà un giorno la foto fra gli archivi preziosi del tempo, volle donare il cronometro d’oro che aveva avuto in premio per la vittoria di una tappa alpina al Tour. Sarà stata Gap, o Briançon, quel successo a venire, o do­ve volete che sia stato. Resta solo, quel che davvero quasi un secolo dopo realmente conta, trionfante il cuore umile di un campione, e l’amore perpetuo, così breve fu il suo de­stino qui, di chi in Cam­pania, materna e solidale di fatica dopo il dolore della guerra, gli offrì ben altro che una borraccia. Un desco caldo condiviso, e un sorriso almeno in più. E quel ciclocross primo, e forse unico, nella sua vita di campione.

da tuttoBICI di marzo


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