Trenti, il danno e la beffa

| 28/04/2004 | 00:00
Fa già ridere che un ciclista venga multato per mancanza del campanello: per quanto previsto dal codice della strada, è ugualmente paradossale. Ancor di più se quel ciclista lo fa di mestiere: che le bici da corsa possano solo circolar per strada pur non avendo in dotazione clacson e luci, lo dice la logica. Se poi quel ciclista è uno al quale l’infrazione viene contestata dopo un incidente che lo ha demolito dalla testa ai piedi, si sconfina addirittura nel grottesco, se non nel sadismo: uguale per tutti che sia, persino il codice dovrebbe avere un limite. Nel buon senso. Che la beffa arrivi spesso ai livelli morali del danno deve averlo pensato Guido Trenti, professionista della bici che a 31 anni si è fatto un nome soprattutto aiutando gli altri: è lui che apre la strada a Petacchi, il velocista che nella passata stagione è riuscito nella storica impresa di vincere tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Milanese di nascita, una doppia nazionalità che gli consente di correre i mondiali con la Nazionale Usa, da cinque anni Trenti vive a Romano d’Ezzelino, il paese vicentino della donna che ha sposato, Silvia. E sulle strade venete si allena pure. Lo sta facendo anche la mattina dello scorso 6 aprile. Sulla strada di casa, scende da Asolo, una gemma di paese medioevale sulla collina trevigiana. Dietro una curva, il destino gli tende una delle trappole più frequenti per un ciclista: da una strada laterale esce all’improvviso una vettura. Forse per vedere meglio, la donna che è al volante invade metà sede stradale: inevitabile l’impatto per Trenti, che non sta nemmeno andando forte. Disastrose le conseguenze: frattura a entrambe le mandibole, che da tre settimane lo costringe ad alimentarsi con una cannuccia, rottura del gomito destro, già operato e rieducato con due viti il 14 aprile, rotti anche bacino e tibia destra. Inutile star qui a far calcoli: sarà una mezza impresa se Trenti riuscirà a salire in bici entro la fine dell’anno, anche solo per preparare il prossimo. Fin qui il danno. La beffa arriva per posta, venerdì scorso: nella cassetta delle lettere, Silvia Trenti trova un verbale dei vigili urbani di Asolo, che hanno rilevato l’incidente. Con imbarazzo, più che sorpresa, scopre che al marito viene contestata la mancanza del campanello sulla bici e che l’infrazione non è stata segnalata al momento perchè, come recita il linguaggio della burocrazia, mai come in questo caso involontariamente comico, «al momento dell’accertamento erano assenti sia il conducente che il proprietario del veicolo>. Fra multa e tasse, fanno in tutto 32 euro e 39 centesimi: il minimo della sanzione, quasi a voler dimostrare di aver usato la massima delicatezza. La vicenda avrà un seguito: il ciclista non solo non intende pagare l’ingiusta multa, ma già si è rivolto all’avvocato, per ribattere alla tesi dell’automobilista, che sostiene di non aver potuto evitare l’impatto perché nessuno le ha suonato. Ma soprattutto, per trovare uno spiraglio nella giurisprudenza che permetta di salvare l’abituale passeggiata di tanti cicloamatori: stando al codice, senza fanali e campanello, le bici da corsa bisognerebbe incatenarle tutte. E dal caso singolo, oltre che singolare, si passerebbe al caso nazionale. (angelo costa)
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