Eddy Mazzoleni: la mia vita senza Giro

| 25/05/2008 | 11:21
Più che un ottimo gregario, è sempre stato un grande luogotenente. Eddy Mazzoleni, bergamasco classe 1973, ha vinto pochissimo essendo ottimo scalatore e discesista ma completamente negato alla volata. Eppure nei grandi Giri, aiutando capitani illustri come Ivan Gotti, Jan Ullrich, Gilberto Simoni, Damiano Cunego, ha trovato modo di emergere spesso tanto da arrivare tra i primi diverse volte. Come al Tour de France dove vanta un 10° posto nella classifica finale del 2005, un decimo al Giro d’Italia 2003, e il terzo posto del 2007. Mazzoleni coinvolto nell'inchiesta sul doping denominata "oil for drugs" è stato squalificato per due anni e il 16 luglio del 2007 ha deciso di attaccare la bicicletta al chiodo. Ora fa il ristoratore a Curno, ed è sicuramente curioso vederlo servire ai tavoli, lui che è sempre stato abilissimo a servire i capitani. Ma il ciclismo resta nel sangue e anche se è costretto a guardare alla televisione le evoluzioni di quelli che fino a pochi mesi fa erano i suoi colleghi di lavoro, Eddy non rinuncia a quella che è stata la sua più grande passione. Sono passati circa undici mesi. Il 90° Giro d’Italia lo avevi concluso sul terzo gradino del podio a Milano. La 91a edizione della corsa rosa la vivi da lontano, alla televisione. Solo un anno ma sembra un secolo… “E’ passato un anno ma è trascorso velocemente. Sono cambiate tante cose, ho cambiato radicalmente vita, ho aperto un ristorante a Curno vicino a Bergamo, si chiama Casanova, le cose vanno bene, sono in società con mio cugino Daniele che è un ottimo cuoco che ha tanta esperienza. Questa idea ci era nata da tempo: quando smetto di correre apriamo un ristorante insieme, gli avevo proposto. E lui aveva accettato di buon grado. Pensavo di farlo tra qualche anno, ma dopo quello che è successo abbiamo anticipato i tempi e sto scoprendo un mondo nuovo. Il ciclismo però lo seguo, leggendo i giornali e guardando la televisione. Ho dato un’occhiata al percorso di quest’anno e devo dire che è duro, ma non ricordo di Giri facili: ci possono essere più o meno salite, ma i giorni sempre in sella sono sempre stati molti, e sempre saranno. Ho programmato di andare a vedere la tappa a cronometro di Plan de Corones approfittando che è di lunedì e ho il turno di chiusura del ristorante, poi andrò sicuramente alla tappa in Bergamasca a Monte Pora e poi quella del giorno dopo a Tirano. Chi può vincerlo? “La settimana che arriva è quella più tosta. Per me il favorito numero uno è ancora Di Luca, poi vedo benissimo Contador e Kloden. La tappa della Marmolada sarà la più importante con la cronoscalata di Plan de Corones”. Chi può far saltare il banco? “Riccò penso che non ce la faccia a far saltare il banco perché a cronometro prende troppi minuti. L’unico secondo me può essere Savoldelli che è un ragazzo intelligente, sa inventarsi sempre qualcosa. Magari è inferiore agli altri, ma con l’astuzia, con la testa, riesce a fare delle cose impensabili. Lo sento spesso, Paolo, è molto concentrato e mi auguro che possa fare un bel Giro”. Provi amarezza o rammarico ad essere fuori dalla mischia non per tua scelta? “Un po’ di rammarico c’è. Ho dovuto smettere di correre per via della squalifica di due anni senza che ci fosse una solo prova del mio dolo: mi hanno accusato di fare ricorso al doping ma in tutti i controlli non sono mai stato trovato positivo e quindi ritengo di essere stato ingiustamente condannato. Però la vita continua e vado in giro a testa alta perché non ho nulla da rimproverarmi. Della mia carriera sono soddisfatto: quello che ho fatto sono riuscito a farlo grazie a molti sacrifici e alla grande passione per la bicicletta. A 35 anni ci poteva anche stare di smettere, al massimo potevo continuare un anno o due, ma ero comunque agli sgoccioli”. Che idea ti sei fatto, a distanza di tanto tempo, sul perché ti hanno condannato così pesantemente? “Mi dà fastidio soprattutto perché la cosa era relativa al 2004. Fino allo scorso anno nessuno ne aveva più parlato, poi io e Di Luca siamo andati forti al Giro e allora hanno ritirato fuori tutte le storie. Se dovevano fare qualcosa lo dovevano fare subito, non a distanza di tanti anni. E poi mi dà molto fastidio vedere che altra gente, molto più coinvolta di me, sta correndo e tutti fanno finta di niente”. In tutto questo tempo ti ha cercato qualcuno nel mondo del ciclismo per affidarti altre mansioni? “No. A parte quei pochi amici che avevo, i vari Commesso, Savoldelli e Fidanza, non ho sentito più nessuno. Non mi ha dato fastidio perché sapevo bene che era così: quando smetti di correre diventi una persona come le altre. Non sono deluso è una cosa che succede a tutti. Anche con i grandi campioni quando attaccano la bicicletta al chiodo si fanno vivi o i veri amici o chi ti cerca per interesse”. Cosa lasci a questo ciclismo dopo 12 anni di professionismo e quasi 20 di attività? “Nel mio piccolo penso di avere lasciato il segno nell’ambiente perché ero apprezzato come gregario. Ho sempre fatto le cose lealmente: quando dovevo aiutare rinunciavo anche a fare la mia corsa per mettermi a disposizione della squadra. E questo lo dimostra il fatto che ho militato in team nei quali correvano tanti campioni, per cui vuol dire che qualcosa ho lasciato". Cosa ti ha dato il ciclismo? “Tanto, tantissimo. E’ stata la mia vita, mi ha fatto crescere, mi ha insegnato che non ti regala niente nessuno e che nella vita bisogna fare i sacrifici per ottenere qualsiasi cosa, quello che ho fatto io in questi anni di professionismo. E poi se oggi ho un ristorante, ho una casa mia, se sto bene economicamente è per merito del ciclismo”. Quindi il messaggio ai giovani è chiaro: se volete fare carriera e avere anche un riscontro economico interessante bisogna fare tanti sacrifici. “Esatto. Il ciclismo ti dà la possibilità di crescere senza cadere nelle tentazioni che hanno tutti i giovani, non frequenti le discoteche e altri posti dove purtroppo si rischia di venire a contatto con strani personaggi. E se arrivi a certi livelli puoi anche guadagnare bene e questo ti cambia la vita”. Il ricordo più bello della carriera? “Il Giro d’Italia dello scorso anno, il terzo posto nella classifica generale mi ha consentito di chiudere in bellezza la carriera, anche se allora non sapevo che dovevo giocoforza smettere. Di ricordi belli comunque ce ne sono tanti: ogni anno conservo il ricordo del supporto che ho dato al capitano”. Il rammarico più grande? “Di avere smesso così. Di non aver preso io la decisione. Però nella vita accadono cose che non ti aspetti, per cui ho accettato anche questo”. Quando eri lì per vincere e invece non avendo mai avuto uno spunto veloce in grado di fare la differenza eri costretto a perdere, dentro di te hai mai “maledetto” madre natura? "Io mi sono sempre ritenuto fortunato per quel che ho fatto e per quel che madre natura mi ha regalato in quanto poteva tranquillamente andarmi peggio. Mi sono sempre accontentato di quello che facevo, non sono mai stato un egoista, fa parte del mio carattere. Il fatto di non essere veloce e non aver vinto tante gare non mi ha pesato, ripeto mi ritengo fortunato per quel che ho avuto”. Lo scorso anno eri stato anche maglia rosa virtuale a un certo punto. In cuor tuo hai mai pensato di arrivare a vincere il Giro d’Italia? “Non l’ho mai pensato, per natura sto con i piedi per terra. Diciamo che ho rischiato di vincerlo in un paio di occasioni. La tappa di Bergamo quando io e Savoldelli abbiamo attaccato in discesa e Di Luca ha trovato l’aiuto insperato di Cunego e la Lampre che aveva interesse a chiudere il buco: bastava che Damiano fosse con noi e penso che Di Luca avrebbe preso qualche minuto pesante. Poi c’è stata la tappa della Tre Cime di Lavaredo dove ho attaccato sempre in discesa con Paolo e sono stato maglia rosa virtuale per qualche chilometro, poi ho perso qualcosina sulla rampa finale e non c’è stato più niente da fare. Però non ho mai pensato di vincere il Giro: il terzo posto per me era già un sogno. Sono partito per fare il gregario e mi sono ritrovato a fare il capitano per la caduta di Savoldelli e ho cercato di sfruttare l’occasione nel miglior modo possibile”. Valerio Zeccato
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