L'ORA DEL PASTO. RESISTENZA CASALINGA? PERLE D'ARCHIVIO - 7

STORIA | 19/03/2020 | 07:53
di Marco Pastonesi

 


Lo chiamavano “L’angelo biondo” (copyright di Luciano Bandiera), perché da ragazzo aveva i riccioli, presto sostituiti da un parrucchino. Gli amici lo chiamavano “Polpetta”, il gruppo “Copertina” e un autista della “Gazzetta dello Sport” (Ezio Graziani, auriga – tra gli altri – di Bruno Raschi) coniò “fioeu d’un sciur”, solo perché il padre da titolare di un bar-trattoria era diventato mediatore (e il grado di “figlio di un signore” era giudicato inadatto a un corridore). Il ritratto di Alberto Della Torre è stato già firmato da Giuseppe Figini in una delle sue storie per Tuttobiciweb il 1° dicembre 2015. Qui, invece, ci sono alcune avventure nelle sue parole ritrovate nel mio archivio, in questi giorni domestici.


FORATURE “Giro d’Italia 1967, tappone dolomitico da Cortina a Trento, 235 km con Falzarego, Pordoi, Rolle e Brocon. In fuga con Adorni, Anquetil, Gimondi, Merckx, Motta, Aimar, Pérez-Francés, Balmamion e Michelotto. Ero un velocista, neoprofessionista, per due anni il più giovane dell’intero gruppo. Mi dissi: c’è qualcosa che non va, forse ho sbagliato gruppo. Ma era una di quelle giornate – rare – in cui andavo forte. Pioggia, neve, freddo, gelo: un tempo da lupi. Sul Brocon, sterrato, la prima foratura. In cima al Brocon la seconda. L’ammiraglia di Bartolozzi era dietro con Bitossi, davanti c’era la seconda macchina con Piero Pieroni, sprovvista di scorte. Piero mi allungò quello che aveva: una ruota da crono. Venti metri e forai per la terza volta. Stavolta non rientrai più. Altra ruota, altra foratura, arrivai a Trento, decimo, con la ruota sul cerchio e i fari delle auto accesi”.

CUORE MATTO “Franco Bitossi aveva il cuore matto, era vittima di crisi di tachicardia. A volte gli bastava appoggiarsi al manubrio e noi gregari, da dietro, lo spingevamo, a volte si doveva fermare uno o due minuti, in quattro o cinque gregari lo aspettavamo per tirare, finché al primo strappo lui partiva e rientrava sul gruppo, noi ci staccavamo e stringevamo i denti per arrivare al traguardo”.

INCUBO “Giro del Veneto 1968. La sera della vigilia in camera con Italo Zilioli. ‘Buona notte, Alberto’, ‘Buona notte, Italo’. Italo, la prima mezz’ora di sonno, era preda di incubi: sognava cadute, incidenti, incendi... Anche stavolta. Si svegliò, salto sul letto, cominciò a urlare. Io accesi la luce. Lui mi vide e, terrorizzato, urlò – se possibile – ancora di più. Non aveva capito che quello davanti a lui, faccia abbronzata e crapa cadaverica, non era uno sconosciuto, ma il suo compagno di squadra e di camera. Così impugnò la radiolina che teneva sempre accanto a sé e fece per gettarmela contro. A quel punto anch’io mi spaventai e urlai. Poi, all’improvviso, lui si calmò e allora mi calmai anch’io. Aveva visto il mio parrucchino sul comodino. Il giorno dopo, forse per l’adrenalina che avevo ancora addosso, vinsi io”.

GIRO DI CATALOGNA “Nel 1969. Tirai la volata a Bitossi. Agli 800 metri ero già in testa, testa bassa e pedalare, aspettando - prima o poi - di essere superato. Successe, ma dopo la linea del traguardo. Avevo tirato troppo forte e vinto. Valdemaro Bartolozzi, il direttore sportivo della Filotex, disse che ha vinto Bitossi. Ma io, con la coda dell’occhio, sapevo che non era vero. E infatti. Bitossi si arrabbiò, ma non più di tanto, invece Bartolozzi sì. Tutti sapevamo che una vittoria di Bitossi aveva un certo valore, una mia molto meno. Tanto più che Bitossi, se fosse arrivato primo e non secondo, grazie all’abbuono avrebbe vinto anche la classifica generale”.

GIRO DEI QUATTRO CANTONI “Nel 1970. Fuga a due: io e Rudi Altig. Rudi mi chiese di lasciarlo vincere e mi offrì mezzo milione di lire, bei soldini, il mio stipendio era di centomila al mese per dieci mesi l’anno. Gli dissi di sì. Bartolozzi subodorò qualcosa e con l’ammiraglia mi affiancò: ‘Non fare scherzi, guarda che oggi devi vincere tu’. Allora mi rivolsi ad Altig: ‘Mi dispiace, ma non posso’. Lui tirò quattro madonne in tedesco, poi era così arrabbiato che negli ultimi dieci chilometri si mise a tirare e non chiese più neanche il cambio. E io non glielo detti. Poi, in volata, vinsi io”.

SEI GIORNI “Chiuso su strada, cominciai su pista. Sei Giorni di Montreal, pieno di italiani sugli spalti e anche in pista. Mi dissero di andare nella cabina, anzi, nello spogliatoio, ché c’era una sorpresa. Non capivo, ma mi adeguai. Chiesi a Luigi Borghetti, il mio compagno, di sostituirmi cinque minuti. Alla fine sarà stata una mezzoretta. Davvero una sorpresa, una bella sorpresa, una gran bella sorpresa. Graditissima”.

SEI GIORNI BIS “Sei Giorni di Montreal, l’anno dopo. Io con Bitossi, Motta con Zandegù. Un giro di pista – un catino di 120 metri, tutto una curva – e Zandegù, terrorizzato, smise di correre. Pur di avere l’ingaggio, concordò di esibirsi la sera come cantante. Il boicottaggio continuò. Durante l’americana Bitossi, spaventatissimo, salì alla balaustra, si attaccò alla rete e si rifiutò di proseguire. Saltarono le coppie. Io mi unii, credo, con Motta”.

7 - continua

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