
Non è un caso che il Gran Premio Bruno Beghelli sia stata la mia ultima corsa da ciclista professionista: adesso provo a spiegarvi perché.
Prima di tutto, perché è una delle ultime prove stagionali del calendario italiano e si corre dalle mie parti: da Forlì, dove abito, a Monteveglio, dove si è corso, saranno cento chilometri.
Secondo, e questo è un po’ meno banale, perché non ci sono più le condizioni per andare avanti: il ciclismo è una giungla, visto e vissuto da dentro è ancora più complicato di come può apparire da fuori, e riconfermarsi ogni stagione mi pesa sempre di più.
A gennaio compirò trentasei anni, le mie dodici stagioni le ho fatte, interpretandole sempre col solito piglio fiero e battagliero di chi ha provato a vincere ogniqualvolta ne ha avuto la possibilità, pronto a sacrificarsi invece per un capitano.
Non smetto a cuor leggero: il ciclismo è stato – e spero rimarrà, vedremo in che modo – il mio mondo negli ultimi trent’anni, praticamente per quasi tutta la mia vita; fisicamente sto bene, è il morale che recentemente ha iniziato a scarseggiare. Tuttora mi capita di domandarmi se ho fatto abbastanza, se davvero ho dato sempre il massimo come mi imponevo, se Matteo è sempre stato felice e se ha sempre saputo voler bene come diceva al gregario Montaguti che è in lui.
Al netto di pregi e difetti, di sviste ed errori di valutazione, mi pare di non avere rimpianti. Qualche dispiacere invece sì: non ho saputo lasciare il segno nel World Tour e non ne intuisco i motivi, qualche volta mi sono trovato tagliato fuori senza una spiegazione né un confronto.
Ormai è acqua passata, e se ancora non è passata passerà: di sputare nel piatto in cui ho mangiato per tanto tempo non mi va proprio.
Mi restano comunque quindici classiche monumento concluse, quattordici grandi giri portati a termine, un paio di vittorie dal valore inestimabile e poi i complimenti dei direttori sportivi, la fiducia dei capitani, la stima di colleghi e compagni di squadra. ( I numeri sono: 12 anni di carriera, alla soglia dei 30 anni di agonismo, 14 grandi Giri: 9 Giri d’Italia, 1 Tour de France, 4 Vuelta España; 15 Classiche portate a termine e 3 gare vinte: tappa e classifica al Giro di Reggio Calabria 2010 con il Team DeRosa e tappa al Tour des Alps 2017 con il Team Ag2r la Mondiale).
Terzo motivo, ma non per questo meno importante degli altri, per la scelta dell'addio al Beghelli, è il giorno in cui si corre. È domenica, ve ne sarete accorti, non devo certo dirvelo io. È proprio di domenica io disputai la mia prima gara in assoluto: avevo sei anni, mio nonno mi teneva la sella, all’epoca credevo che si potesse campare solo di domeniche e di corse. Sono sempre quel Matteo: un po’ più grande e maturo, sicuramente più disincantato e meno sognatore: chissà come sarebbe andata se mi fossi preso meno sul serio, se invece di dirmi “è un lavoro” mi fossi detto qualche volta di più “vai e divertiti”.
A chi c’era allora e c’è ancora oggi, a chi c’era allora e oggi non c’è più, a chi allora non c’era ma c’è oggi e tanto basta: a loro è rivolto questo messaggio, a loro e a nessun’altro, e se lo pubblico è perché oggi la comunicazione funziona così, non perché mi interessa un po' di compassione.
Ho riflettuto a lungo sull’impronta che lascio: tutt’altro che indelebile, ma sicuramente umile e umana, tutto sommato buona, fatta di quei valori che mi sono stati trasmessi quand’ero giovane, perché io ho imparato tutto da ragazzo – il professionismo mi ha insegnato altro, tanto di positivo quanto di negativo.