
Letizia Paternoster ha cominciato a gareggiare a cinque anni contro la volontà dei genitori, che avrebbero preferito vederla danzare con i piedi a terra, non sui pedali. Nicole D’Agostin ha ricevuto in regalo una bicicletta quando era all’asilo, e da allora l’ha sempre amata. Sofia Bertizzolo ha iniziato a correre nella squadra del fratello su una biciclettina rimasta senza proprietario. Arianna e Martina Fidanza, figlie d’arte (papà Giovanni, nove anni da professionista, fra l’altro anche una vittoria di tappa al Giro e una al Tour), giurano di non aver mai sentito il peso del cognome e di non aver mai avuto pressioni familiari, e i loro sorrisi sono convincenti. Michela Balducci si sente velocista e, quanto alle salite, spiega che non è lei a rifiutarle, ma loro a rifiutare lei. Vittoria Guazzini dichiara che, nonostante la fatica, si è sempre divertita. Isotta Barbieri confessa che, un po’ per comodità e un po’ per fede, in bicicletta va anche in città.
La bicicletta è donna. I francesi la chiamavano “la petite reine”, la piccola regina, in onore di Guglielmina dei Paesi Bassi: nel 1891, a 10 anni, prese il potere alla morte del padre Guglielmo III ma senza perdere l’abitudine di girare su un velocipede. Da Alfonsina Strada, al via nel Giro d’Italia del 1924, unica donna nella storia in corsa con gli uomini, il ciclismo è sempre più rosa: chi per agonismo e chi per passione, chi per turismo e chi per filosofia. E non è un caso che da molti anni il medagliere italiano sia arricchito grazie soprattutto alle donne.
Marco Marando e Ambrogio Rizzi hanno scritto “Inseguendo un sogno” (Bandecchi & Vivaldi, 152 pagine, 15 euro, con prefazioni del presidente dell’Uci David Lappartient e dell’ex campionessa mondiale Edita Pucinskaite, e un centinaio di foto). E’ un libro-intervista con il ciclismo femminile: 20 dialoghi (fuori corsa) con atlete e allenatori e sette (in corsa), più altri colloqui con addetti ai lavori, a cominciare dal c.t. delle squadre femminili italiane, Edoardo Salvoldi (e le interviste con le atlete straniere sono in inglese o francese, senza traduzione). “Inseguendo un sogno” è anche una radiografia del movimento ciclistico, un’esplorazione del mondo agonistico, un punto della situazione tra sguardi al passato e ipotesi per il futuro, ed è soprattutto una dichiarazione di amore.
Gaia Tortolina racconta del Belgio: “La quantità enorme di gare, il pubblico e la passione delle persone verso il ciclismo e i corridori, ogni gara è un evento, una vera festa per la comunità… In certi luoghi sembra quasi una religione dello sport”. Giuseppe Rivolta, il patron del Giro Rosa, ricorda lo Zoncolan: “La salita, che non è uno scherzo, è stata affrontata e portata a termine da 130 concorrenti e nessuna si è fermata o ritirata. Ma non è tutto. Sono salito sulla moto e ho rimontato tutto il gruppo fermandomi a -3 km dall’arrivo: ho visto tanta determinazione, forza, coraggio e qualcuna, quando mi ha visto passare, ha anche accennato a un sorriso”. Giada Borgato, campionessa italiana nel 2014 e poi commentatrice tecnica, analizza: “Molti team maschili hanno voluto investire sul femminile e ora in gruppo troviamo tantissime maglie che vediamo nel maschile! Più investitori più squadre significa avere più denaro più professionalità. Le ragazze finalmente si sentono delle vere professioniste”.
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