
Aveva la fama di essere un uomo rude, burbero, scorbutico. Il suo migliore amico, Ettore Milano, lo definiva affettuosamente “l’incrocio fra un orso e un cinghiale”, l’orso per le dimensioni, il cinghiale per la simpatia. Così, quando andai a trovarlo a casa - lui e Ettore erano stati gli angeli custodi di Fausto Coppi -, mi preparai al peggio. E feci bene.
Sandrino Carrea mi squadrò con sospetto, mi aprì il cancello con ritrosia, mi fece accomodare su una sedia di plastica sotto un generosissimo cachi, forse sperando che qualche frutto maturo mi cadesse in testa, e non per dimostrare, come accadde a Sir Isaac Newton, la legge di attrazione universale. Ma qualcosa del genere accadde: ci fu una sorta di attrazione personale, spirituale, esistenziale. Sandrino intuì la mia passione per i gregari, di cui lui era un campione, io capii la sua grandezza, da orso, e la sua resistenza, la sua adattabilità, la sua forza, da cinghiale. Diventammo, e lo dico con estremo orgoglio, e forse anche con un po’ di sfacciata presunzione, amici. Continuammo a vederci. Puntigliosamente, su un quaderno, lui datava e registrava le mie visite, elencando eventuali doni (bottiglie, fotografie, libri, articoli). Intanto, dalla sedia di plastica sotto il cachi ero stato promosso alla tavola della cucina su una sedia di legno e paglia.
Era impossibile non volere bene a Sandrino. Con la dovuta prudenza, tenendo le distanze, senza mai abbassare la guardia, come se la vita si disputasse su un ring, era impossibile non amarlo. Per la sua generosità, pari almeno a quella del cachi, per la sua semplicità, per la sua nascosta allegria. Mugugni, brontolii e imprecazioni si scioglievano in improvvise, sorprendenti, inattese risate zoologiche. Con il passare delle visite, apriva il suo cuore, allungava i suoi ricordi, allargava le sue confidenze. Finché, spesso, richiudeva la cassaforte delle memorie con un “d’altronde”, che lasciava ampi margini di immaginazione.
Sandrino e la guerra, la fame, il freddo, e quando tornò a casa ridotto a pelle e ossa, suo padre stentò a riconoscerlo. Sandrino e Coppi, il Fausto, un’amicizia che sconfinava nella devozione, nella dedizione, nella passione. Sandrino e la maglia gialla, che conquistò senza saperlo, era già tornato in albergo quando fu chiamato per tornare precipitosamente al traguardo, sul palco, sul podio, non se la godette perché se ne vergognava, a tavola non osava guardare in faccia il Fausto, temeva di averlo offeso, di non essere stato fedele ai patti di obbedienza e sottomissione, al compito di gregario, finché il Fausto gli dette una pacca su quelle spalle enormi da orso e ruvide da cinghiale, e ci rise su (ma la tappa successiva, con l’arrivo, inedito, sull’Alpe d’Huez, per essere certo di passare la maglia gialla a Coppi vincitore, Carrea frenò in salita). Sandrino e la Dama Bianca, un capitolo che non chiudeva con uno dei suoi “d’altronde”, ma con un definitivo “lasciamo perdere”. Sandrino e la Marina, Sandrino e il Faustino, come se fossero suoi figli. Sandrino e la messa del 2 gennaio a Castellania, in commemorazione della morte del Campionissimo, quando faceva il segno della forbice al prete invitandolo a tagliare con la predica. Sandrino e il Don Orione, tutte le mattine andava a recuperare frutta e verdura e le portava al Piccolo Cottolengo di Tortona. Sandrino e la stufa in cucina, che alimentava come se fosse la caldaia di una nave a vapore, tanto che, lì, a tavola, si respirava un microclima equatoriale. Sandrino e quel naso da pugile, quel naso da salita, quel naso da italiano in gita, colpa di un incidente, “d’altronde”. Sandrino e la Panda, bastava lui per riempirla, e non poteva esserci macchina più adatta per un mezzo orso, in via di estinzione, come lui.
Andrea – ma per tutti, proprio tutti, era Sandrino, l’unico diminutivo di una vita, di una esistenza, di una carriera maiuscole – Carrea è morto sei anni fa. Domenica, alle 10.30, il Comune di Cassano Spinola lo ricorderà con una corona al cimitero. La sua tomba, e non può essere un caso, è a pochi metri di vicinanza da quella di Costante Girardengo.