
Balotellata: avventure e disavventure come quelle consuete per il calciatore Mario Balotelli.
Faccina: quel segnale (emoticon) che riproduce il sorriso, la perplessità o la sorpresa di chi riceve un messaggio.
Black Friday: letteralmente venerdì nero, è la giornata dei grandi sconti a fine novembre.
Tremilacinquecentocinque neologismi tratti da 76 testate di quotidiani tra il 2008 e il 2018 e adesso codificati e accolti nel vocabolario Treccani. La lingua italiana si muove, si modifica, subisce le influenze di quella inglese, cede alle tentazioni della velocità e dunque alle esigenze della brevità, si adatta più a trovate che a invenzioni giornalistiche. E’ un’evoluzione, forse un’involuzione, talvolta una rivoluzione.
Lo sport è, da sempre, una miniera di espressioni gergali che entrano nel linguaggio comune. Nello scorso decennio furono sdoganati “anticalcio”, “calciodipendente”, “cassanata” (le pazzie del calciatore Antonio Cassano, non dell’attuale c.t. del ciclismo Davide Cassani), “olimpiomane”, “torello”, addirittura “zidanata”. Tanto calcio, ovviamente. E il ciclismo? Scarsi riconoscimenti. Se sulla Treccani – per esempio – si va alla voce “abatino”, coniata da Gianni Brera prima per Giorgio Albani (ciclismo), poi per Livio Berruti (atletica) e Gianni Rivera (calcio), si legge: “Nel linguaggio dei commentatori sportivi, di atleta, spec. calciatore, dotato di classe e di capacità tecniche ma non di potenza fisica, per cui riesce inconcludente, poco incisivo”.
E invece, da sempre, il ciclismo è ricco di parole ed espressioni poi copiate, traslate, clonate, trapiantate, sposate. Da “un uomo solo al comando” (Mario Ferretti su Fausto Coppi, il 10 giugno 1949, per la terzultima tappa del Giro d’Italia, la Cuneo-Pinerolo) a “ghe voeren i garun” (ci vogliono i garretti: Alfredo Binda sul ciclismo; oggi i garretti sono spesso sostituiti da altri attributi), da “maglia rosa” (il primo, in onore del primo nella classifica generale al Giro d’Italia) a “maglia nera” (l’ultimo, in riferimento all’ultimo sempre nella generale del Giro), dalla “bomba” (sinonimo di doping) allo “scollinare” (superare un passo, quindi finire una salita e cominciare una discesa: dicesi anche di vicende della vita di tutti i giorni).
Sarebbe giusto che la Treccani si ispirasse anche al ciclismo. E se non per il vocabolario, almeno per l’enciclopedia. Una voce potrebbe essere quella del Ventoux, il monte: “Il Ventoux è una montagna calva, affetta da seborrea secca. Lo vedi dalla bassa Provenza. Millenovecento metri di un verde che stinge, impallidisce, si spegne. Verso il culmine il Ventoux imbianca. Da lontano, un monte di sale. Il 'mistral' batte il 'ventoso'. Il ricordo scolastico, arioso del Petrarca - che soggiornando ad Avignone sale sul Ventoux, a maggio quando le pietre restituiscono il tepore del sole del mezzodì - si liquefa, scompare, nella calura di luglio, nel corso del Tour. Il Ventoux è rimasto per il Tour il dio del male dell'antica Provenza. Il suo clima è assoluto. Gli uomini da classifica lo pedalano con il fiato che si rompe in gola, alle prese con un rapporto (la marcia ciclistica) che incarognisce la ruota dentata, che la trasforma in uno strumento di tortura”. Parole di Mario Fossati, sulla “Repubblica”. Era il 1987. Ma valgono per sempre.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.