Il medico della FFC: ecco perché boccio il passaporto biologico

| 08/11/2007 | 00:00
Armand Mégret, medico capo della Fédération française de cyclisme (FFC), ha criticato in una lettera aperta il passaporto biologico voluto dall’Uci al termine del summit antidoping svoltosi a Parigi a metà ottobre. Il dottor Mégret deplora innanzitutto il fatto che «la Wada abbia imposto un metodo del quale non si conoscono le modalità di applicazione, del quale non si conoscono i costi, del quale non si conosce chi sarà sottoposto con certezza a questo metodo, del quale non si sa se sia da considerarsi un metodo di lotta al doping (quindi con sanzioni e squalifiche) oppure un supporto medico e come tale indicativo per fermare un atleta in caso di valori anomali per la tutela della sua salute, senza però implicazioni sanzionatorie». «In più - aggiunge Mégret - è necessario che siano chiariti quali saranno i valori da ricercare, per i quali però bisogna tener presente che il doping non è l’unico fattore che può portare delle variazioni. Non bisogna escludere, infatti, che anomalie biologiche possano essere provocate da problemi di salute in tutti gli sportivi di alto livello». Armand Mégret sottolinea poi come il passaporto biologico della Wada possa essere un metodo valido per essere pubblicato su una rivista scientifica «ma un tribunale, al quale potrebbe rivolgersi un corridore, sceglierà dei nuovi esperti che contesteranno il metodo e dei giuristi che vi troveranno dei vizi di forma. Per questo metodo non è stato indicato alcun sistema operativo: non c’è l’organizzazione, non c’è metodo, non vengono indicate le tecniche che devono essere applicate dai laboratori, i kit da utilizzare, i protocolli da seguire... È un peccato che il ciclismo faccia affidamento su questa che è una grande proposta mediatica e nulla più: come può essere risolutivo un sistema che lascia libertà all’interpretazione di ognuno?».
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