| 10/10/2007 | 00:00 Il 21 dicembre prossimo venturo, il Processo sulla morte di Marco Pantani in corso a Rimini, presenterà la sua sentenza, ma su quella che sarà la verità processuale peseranno sempre interrogativi ed ombre che, prima le indagini e poi il dibattimento, non hanno saputo chiarire. La posizione della famiglia Pantani, illustrata dal legale, Avvocato Danilo Mastrocinque, in estrema sintesi, è questa.
Un processo che ci si augurava in grado di evidenziare e sancire due verità: la prima, quella processuale (circostanze della morte, giro di cocaina, spacciatori) e la seconda sul come si sia consumato il crescendo che ha portato a quel tragico 14 febbraio 2004. A fine ormai prossima, il rischio di sancire una sola verità o una verità senza un pezzo, è da considerarsi pressoché certo. Pesano come macigni, le mancate rilevazioni ambientali: dal rilievo delle impronte digitali, alla visione dei video delle telecamere di sorveglianza; al non chiarimento circa la presenza di un secondo giubbotto di Marco, che era giunto da Milano senza valigie come da testimonianza del taxista, nonché la mancanza di un giusto incrocio fra le testimonianze stesse. Anche la presenza di cibo cinese, mai gradito al campione, pur contenuto in confezioni “take away” e, quindi passibile di confusione circa i reali contenuti, non è stata negata; così come lo stato della stanza di Pantani, completamente nel caos, poteva essere sì frutto di un delirio da sostanza del campione, ma pure conclusione finale di qualche altro motivo.
Dunque, un lungo elenco di interrogativi, che dimostrano quanto non esista certezza sul fatto che il campione fosse solo nella stanza, dove ha poi sicuramente trovato la morte per overdose. Interrogativi che giungono ad un altro punto oscuro e non chiarito, proprio per la mancanza di rilevazioni che, a giudizio dell’Avvocato Mastrocinque e della famiglia, si rendevano necessarie, come ad esempio il fatto stesso che Marco abbia ricevuto la droga fuori dall’albergo, senza che nessuno degli addetti alla reception, abbia dichiarato di averlo visto uscire.
Circostanze e iter legati alle ultime ore del campione, che non sconvolgono la verità processuale sulla sua morte e le responsabilità a carico degli imputati, ma che lasciano inalterata l’angoscia su come attorno al Pirata si siano concentrate situazioni, drammi e un crescendo di disperazione, sui quali anche chi doveva tutelarlo, proteggerlo e cercare qualche via alternativa, non si è mostrato all’altezza e ha lasciato diversi interrogativi.
Di qui, una ricerca che non poteva essere compito del Processo di Rimini, ma che si sperava di poter evidenziare attraverso il dibattimento, anche solamente come eco del fatto tragico. Tra l’altro, senza dimenticare quanto sia pesante e senza risposta, soprattutto per le evidenti carenze legali e di tutela che la precedente gestione della Fondazione Marco Pantani ha posto sulla impostazione di parte civile al Processo, l’aspetto forse più emblematico della solitudine, della disperazione e della conseguente morte del campione: l’eclatante mancanza di soccorsi.
Nell’ultima udienza del 24 settembre scorso, comunque, si sono potute raccogliere le testimonianze di Fabio Miradossa e Ciro Veneruso, rispettivamente fornitore e spacciatore della dose costata la vita a Pantani. I due sono entrati nel dibattimento solo nell’udienza citata, in quanto avendo patteggiato (4 anni e 10 mesi per il primo e 3 anni e 10 mesi per il secondo, ma entrambi in libertà grazie all’indulto), s’è dovuto attendere che la pena passasse in giudicato e rendersi definitiva, prima di poterli sentire in aula nel ruolo di testimoni. Le loro dichiarazioni hanno posto sotto una nuova dimensione la posizione di Fabio Carlino, il titolare di un’agenzia di immagine per la quale lavorò Eva Korovina, ovvero la stessa con la quale oggi divide il ruolo di imputato per la morte di Pantani. Carlino, che si era sempre dichiarato estraneo alla vicenda, attraverso appunto le testimonianze dei due è apparso per la prima volta all’interno di una parte evidente nella vicenda, a livello di concorso morale e di conoscenza dei fatti. Molto più marginale il ruolo della Korovina.
Il 21 dicembre dunque, verranno lette le sentenze che mettono un punto sulla tragica odissea di Marco Pantani.
Un iter tragico, partito il 5 giugno 1999, col fatto di Madonna di Campiglio, continuato poi fino alla tragedia, attraverso poliformi attacchi a Marco, come mai s’era visto in direzione di uno sportivo, e una caduta psicologica dello stesso, assai favorita da vistosi errori e sottostime da parte di chi era chiamato a dirigerlo e tutelarlo, nonché terminato, non senza altri interrogativi, in un residence di Rimini. Tre lassi e tre verità, di cui solo l’ultima, dal 21 dicembre 2007, potrà dirsi in un certo qual modo raggiunta.
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