Doping: storie di affari e interessi

| 27/09/2007 | 00:00
I PROPRI INTERESSI. Ci sono gli affari del doping, quelli fatti dall’antidoping e quelli che si fanno sia con gli uni che con gli altri. Ci sono medici e case farmaceutiche che si arricchiscono promettendo sfracelli ai propri assistiti, i quali si sottoporrebbero a qualsiasi pratica pur di vincere, e ci sono oggi organizzazioni mondiali che hanno scoperto che anche con l’antidoping si può fare business (e in certi casi anche politica). Inattaccabili dal punto di vista etico e morale (chi non è contro il doping?), assolutamente sensibili ai fondi che giungono da Stati e Governi. Anzi, quegli Stati e quei Governi che si azzardano a elargire pochi fondi per la lotta al doping, vengono immediatamente additati come promulgatori e spalleggiatori del doping stesso: quindi è meglio pagare. Poi c’è la macchina ciclismo, questo magnifico carrozzone multicolore che formalmente non incita al doping ma fa in modo che questo penetri in ogni anfratto. Se i risultati arrivano è un affare per atleta e squadra, se il corridore viene beccato è un affare comunque per la squadra: risparmia soldi, rinegozia i contratti, gioca al ribasso. Questo per dire che cosa? Che ognuno fa il proprio gioco nel nome di uno sport pulito, spesso facendo solo i propri interessi. NON FACCIAMO FESSERIE. Vogliamo credere e pensare che l’idea dei Grandi Giri aperti alle squadre nazionali sia stata solo una boutade estiva. Vogliamo credere anche che l’idea di ridurre i giorni di corsa dei Grandi Giri sia solo una provocazione ad uso e consumo dell’Uci per rispondere agli organizzatori di Tour, Giro e Vuelta. Vogliamo credere che tutto questo non sia vero, perché altrimenti sarebbe davvero la fine, altro che aprire dibattiti e indire tavole rotonde sul tema «come rilanciare il ciclismo?». Il Pro Tour ha già messo in ginocchio tre quarti del movimento mondiale, uccidendo, sminuendo, spolpando centinaia di corse che non valgono più nulla, penalizzando due terzi delle squadre e dell’attività, elevando – e neanche troppo – le squadre di Pro Tour e massacrando team di seconda fascia di assoluto valore e di grande dignità che faticano però ad andare avanti. Se poi apriamo alle squadre Nazionali sapete quale sponsor andrà avanti? Nessuno. Secondo voi una Liquigas sarebbe contenta e disposta a dare Di Luca o Pozzato alla Nazionale per correre tre settimane sulle strade di Francia?. Secondo voi sarebbe disposta la Lampre a pagare Cunego profumatamente per poi lasciarlo andare a correre nella corsa più prestigiosa del mondo con la maglia azzurra? Non diciamo fesserie. Soprattutto, vediamo di non farne. G7. A fine agosto si è tenuto a Somma Lombardo un incontro del G7, promosso da Renato Di Rocco e Alcide Cerato, e che ha riunito le Federazioni più forti, con maggiore storia e tradizione. Sul tavolo della discussione il doping e la «questione spagnola», con l’Operacion Puerto insabbiata e il Governo iberico chiamato adesso ad esprimersi e a dire cosa fare di tutta questa faccenda spinosa, per non dire imbarazzante. Il Pro Tour, che così non va e non può andare avanti, rischia di scomparire definitivamente (Cerato ha chiesto l’immediata sospensione, oltre alla creazione di una apposita commissione che ne studi le giuste modifiche) se non vengono prese certe decisioni, ad incominciare dalla riduzione delle licenze e delle corse in calendario. Si è parlato anche di equilibri politici in seno al Governo mondiale della bicicletta: le Federazioni nazionali chiedono più spazio e l’Uci è pronta a toglierglielo spostando con un’abile mossa politica - che si teme possa essere messa a punto a Stoccarda -, il baricentro politico verso i Paesi in via di sviluppo, che votano (alzano la manina) e non rompono tanto gli zebedei, come gli europei. GIUSTIZIA. Piepoli scagionato, Petacchi rinviato al Tas. Piepoli con 1.830 ng/ml pienamente scagionato dal tribunale sportivo di Montecarlo (dove è tesserato) mentre Petacchi con 1.352 ng/ml deve stare ancora in ballo visto che la Procura ha deciso di ricorrere al Tas. L’Uci che dovrebbe vigilare e armonizzare i regolamenti, tace. Il principio dei due pesi e delle due misure ormai è più che un sospetto, tanto che oggi è l’unica vera regola che passa in automatico. A questo punto l’augurio è che l’Uci, con il suo presidente Pat McQuaid, torni a ricoprire un ruolo di gestione, mettendo in mostra le proprie capacità di governo, se le ha. Lasci perdere il business e le azioni di marketing, che spettano ad altri, per statuto, storia e tradizione. Pensi piuttosto a riordinare la giustizia sportiva e a rinforzare la lotta al doping. Renato Di Rocco, il nostro presidente, non appena si è seduto sulla poltrona più importante del ciclismo italiano, ha chiamato il presidente del Coni Gianni Petrucci per dirgli: «Dei controlli te ne occupi tu…». Anche l’Uci individui un’agenzia esterna super partes, che potrebbe essere la Wada piuttosto che Chatenay Malabry, per rendere uniformi i controlli di tutto il movimento. Avochi a sé la gestione della giustizia sportiva, un po’ come il Coni sta facendo con lo sport italiano (dal secondo grado in poi è cosa loro…). Semplificazione e uniformità le parole d’ordine. Giustizia il fine primario nonché ultimo. Pier Augusto Stagi da tuttoBICI numero di Settembre 2007
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