| 11/08/2007 | 00:00 Dopo dodici stagioni da professionista, il Falco di Clusone sta attraversando un periodo di riflessione. La bici rappresenta sempre un validissimo motivo di vita, per Paolo Savoldelli, uno dei più forti discesisti dell’intero panorama del ciclismo mondiale, ma gli ultimi avvenimenti che suo malgrado hanno coinvolto l’Astana fanno riflettere anche uno come lui, vincitore di due Giri ma anche vittima di incidenti incredibilmente gravi. Paolo Savoldelli aveva scelto la formazione kazaka perché il programma era ambizioso e i compagni di squadra tanto importanti quanto vogliosi di un riscatto. La formazione di Marc Biver aveva assemblato campioni come Vinokourov, ingiustamente emarginato dal Tour 2006 soltanto perché allora facente parte della Liberty Seguros di Manolo Saiz; o come il campione nazionale Kashechkin, o il tedesco Andreas Kloden, capace di salire per ben due volte sul podio della Grande Boucle.
Savoldelli ha svolto appieno il proprio dovere, a tal punto da meritarsi una conferma sulla parola per il prossimo anno. Ma intanto, in casa Astana, negli ultimi mesi si è scatenata la bufera: prima Matthias Kessler positivo, poi la riemersione del caso Mazzoleni, accusato di essere coinvolto nella Oil for Drug del dottor Santuccione; quindi l’incredibile caso di positività di Alexandre Vinokourov, pizzicato durante il Tour e cacciato per trasfusione di sangue. Infine, per ultimo, ancora un caso di doping con Andrei Kashechkin, che faceva seguito alla cacciata dal Tour dell’intera squadra.
Savoldelli, qual è lo stato d’animo di uno come lei che non ha mai avuto problemi con il doping in tanti anni di professionismo?
«Sono smarrito, non so più che cosa pensare. Il morale è molto in basso».
Voglia di smettere?
«Il ciclismo è la mia vita. Per questo avevo già sottoscritto un’intesa con Marc Biver (il team manager Astana, ndr) per correre un altro anno con il team kazako. Ora non so più, ora non ho più certezze».
Cos’è a darle più fastidio?
«Il fatto che il ciclismo non sia più credibile per colpa di coloro che hanno barato. Il prossimo anno, quando qualcuno andrà in fuga con due minuti su tutti gli altri, la gente si chiederà: “chissà che cosa ha preso”. E questo mi fa molto male».
Cosa ha pensato quando si è saputo che Vinokourov...
«Vino è un duro, un uomo di carattere.
Aveva sofferto come un cane dopo la caduta. Avrei giurato su di lui, ho pensato a lungo che fosse rimasto vittima di qualcosa di strano. Poi sono arrivate le controanalisi...».
E adesso la positività di Kashechkin...
«Sono smarrito, lo ripeto. Anche se non leggo volutamente i giornali per non stressarmi».
Lei era d’accordo con la decisione di lasciare il Tour come squadra?
«No, quando fai sacrifici per quindici giorni è giusto che tu possa finirlo, il Tour. Specialmente se non hai responsabilità su ciò che è successo ad altri tuoi compagni».
Peggio ancora è andata a Rasmussen, non crede?
«Quello è un caso assurdo. Mandare a casa una maglia gialla senza una positività non ha senso. O il danese non doveva partire o era giusto che restasse sino a Parigi. C’è qualcosa che non va tra le varie componenti del ciclismo».
Quello attuale è ancora il suo ciclismo?
«L’ambiente mi piace poco, ma io sono fatto in un modo particolare, me ne sto in disparte e in cambio offro la massima professionalità ».
Che tipo è Marc Biver?
«Una persona che mi piace molto: rigoroso, esigente e pulito. Credo che abbia sofferto molto per i recenti casi di positività. A me piacerebbe continuare con lui, ma dopo tutto quello che è accaduto non so quali siano le intenzioni dell’Astana».
La vedremo ancora in mezzo al gruppo?
«Se posso pedalare come piace a me e senza essere attorniato da un clima di sospetto, sì. Perché il ciclismo pulito è la mia vita»
da Tuttosport del 10 agosto a firma Paolo Viberti
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