STORIA | 12/06/2018 | 07:32
Ha preferito il liscio al ciclismo, le balere alle strade, le partner alle biciclette. Il mondo ha perso – forse – uno scalatore, ma ha trovato – certo – un ballerino. E grazie alla pratica del liscio, ma anche alla passione per le bici e il ciclismo, Remo Bagnoli, all’alba dei suoi ottant’anni, non prende neanche una medicina.
Emiliano di Carpi (la Betlemme di Gregorio Paltrinieri, olimpionico nel nuoto), nessuna parentela con l’allenatore di calcio Osvaldo Bagnoli (“Ma una vaga somiglianza, se ci fa caso, c’è”), licenza di quinta elementare (“Studiare non mi piaceva troppo, preferivo lavorare”), il primo lavoro in campagna (“Contadino, e orgoglioso di esserlo stato, farlo non è facile, non tutti ci riuscirebbero”), poi 35 anni di industria (“Eppure eccomi qui”). Intanto la bici: “La prima a 17 anni, quando un caro amico, cui davo da mangiare la polvere in tutto quello che facevamo, andava forte in bicicletta. Ci provo anch’io, mi dissi”. Che bici: “Sportiva, con i copertoni, le tolsi i parafanghi e le misi un manubrio di quelli lì, all’ingiù”. E che corse: “Ma ho vinto solo quelle dei preti”.
Una volta: “Giocavo a calcio, terzino sinistro in prima squadra, ma solo perché di mancini, a quel tempo, ce n’erano pochi. In bici andavo con quella dello zio, ci attaccavo i bidoni del latte da portare in cascina. Il primo allenamento a 17 anni. Mi dissero: da Carpi a Modena, poi giri a destra per Campogalliano, e quando sei a Campogalliano torni a Carpi. Facile, senonché calò una nebbia che non si vedeva a un metro di distanza. E mi persi. Finii su uno sterrato, mi venne addosso la fifa e, come se non bastasse, forai. E ovviamente ero senza camere d’aria. Però trovai la cascina di un contadino. Mi feci forza, entrai, domandai, e lui s’illuminò, mi portò in cantina, prese carta vetrata, pezza, mastice e me l’aggiustò. Solo che, uscendo dalla cascina, non sapevo neanche se andare a destra o a sinistra. Fu lui a rivelarmi dove eravamo: a un paio di chilometri da Cantone Gargallo, che conoscevo benissimo, perché lì abitava una mia morosa che giocava a pallavolo”. Un’altra volta: “Facevo così tanta fatica che finsi di forare per poter tornare a casa. Ma erano cose che facevano in tanti”. Un’altra volta ancora: “Coppa Cavalli a Scandiano, la Milano-Sanremo degli allievi. Il mio amico Ermanno Benetti, del ’38 come me, carpigiano come me, ma molto più forte di me, andava come una moto, io neanche come una bicicletta. Andavo avanti soltanto perché non sapevo più dove mi trovassi, da solo non sarei riuscito a tornare a casa. Finché ci fu un’ecatombe, caddero tutti, e al traguardo di Albinea – primo Benetti - arrivai diciassettesimo”.
E pensare che: “Mio padre non aveva mai avuto tempo per fare sport, però vedeva questa passione ciclistica con un certo interesse. Dichiarò di darmi tempo, aggiunse di essersi informato, per andare forte bisognava fare la vita del corridore, che era più rigorosa di quella dell’atleta, e quindi bisognava che andassi a letto presto. Ma io preferivo ballare. Così fingevo di andare a dormire, poi mi vestivo in ghingheri, uscivo dalla finestra, passavo per i coppetti del pollaio, facevo un saltino di quasi due metri e a piedi, un paio di chilometri, andavo in balera”. E pensare che: “Un mio amico mi diceva di imparare a fumare, che il fumare dava più importanza, così era più facile cuccare. Gli risposi che lo avrei fatto, se le sigarette me le avesse pagate lui. Non se ne fece nulla: eravamo squattrinati”.
Insomma: “Correre non era il mio mestiere”. Ma la passione per il ciclismo non lo ha mai più abbandonato: “La passione per Fausto Coppi, due carpigiani erano ricoverati all’ospedale di Primolano quando lui cadde durante il Giro e si fratturò il bacino, gli chiesero il permesso e gli scattarono una foto, e poi un giorno mi regalarono quella foto perché avevano paura di perderla, così io la tenevo nel portafogli, finché un giorno mi rubarono il portafogli con la foto – unica – di Coppi nell’ospedale di Primolano, per fortuna che per prudenza mi ero fatto almeno una fotocopia. E la passione per Meo Venturelli, un fenomeno, andai a trovarlo anche quando era ormai all’ultimo chilometro, in ospedale, e ammetteva di averne combinate di tutti i colori”.
Ecco Remo Bagnoli, incontrato per ciclismo al Giro d’Italia Under 23: “Avevamo fame, eravamo in bolletta. Mi creda, siamo venuti su bene nel sacrificio”.
Marco Pastonesi
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