STORIA | 07/06/2018 | 12:51
Una Wander. Verde e bianca. Fabbricata a Parma, acquistata dalla Unione ciclistica Nicolò Biondi di Carpi, affidata al dilettante Ercole Baldini, 60 anni dopo recuperata e restaurata – faticosissimamente – dallo stesso Baldini, infine sistemata nel suo museo a Villanova di Forlì.
C’è tanto tempo (62 anni) ma poco spazio (7 km in linea d’aria) fra quella Wander di Baldini dilettante e le Colnago, le Pinarello, le Merida dei 176 under 23 che da oggi a sabato 16, dal velodromo Glauco Servadei di Forlì al Muro di Ca’ del Poggio a San Pietro di Feletto (Treviso), per 1206,9 km in Emilia-Romagna, Lombardia, Trentino e Veneto, corrono il Giro d’Italia. Per “il treno di Forlì” (diventato, con il passare degli anni, e delle locomotive, “il diretto”, “il direttissimo” fino a “l’espresso”) è una capriola in tutti i suoi ieri. Ottantacinque anni, vista annebbiata ma memoria inossidabile, uno spirito che si riaccende a forza di ricordi e confidenze, Ercole attraversa le colonne del passato e racconta.
Dilettante: “Mi affidarono una maglia e una bicicletta, e con quelle mi fecero sentire ricco. Ma non ero ricco. Non avevo neanche la macchina. Mi ripromisi di prenderla solo se fossi passato professionista. E quando passai professionista, mi ripromisi di prenderla solo se fossi riuscito ad arrivare fra i primi cinque al Giro d’Italia. Arrivai terzo, e così mi comprai una Giulietta bianca, forse perché l’Alfa era la macchina dei giovani, forse perché aveva il nome di una donna”. Professionista: “Da professionista la macchina ci voleva. Mi serviva per spostarmi da una corsa all’altra, soprattutto dopo il Giro e dopo il Tour, per i circuiti e le kermesse. Dalla Giulia passai alla Fiat 2100, verdina con il tetto nero, targata 48382. Mio fratello me la portò a Parigi - non aveva neppure 2 mila km - e tornò in aereo a casa. Per i corridori c’erano due tipi di tipi di circuiti, quelli corti e quelli lunghi, quelli corti erano adatti a tutti, quelli lunghi a pochi, e io scelsi quelli lunghi. In 30 giorni ne feci 33, perché per tre giorni ci fu doppio appuntamento. Quando tornai a casa, la macchina aveva fatto 32 mila km, e le gomme erano già da cambiare”.
Charly Gaul: “Aveva una Mercedes 190 SL, ma era piccola e stretta, tant’è che, quando doveva portare una bici, veniva con un furgoncino Ford”. Jacques Anquetil: “Eravamo stati ospiti a Marcinelle, dove ci regalarono una lampada da minatori, poi ingaggiati per un circuito dalle parti di Liegi. Sfinito, scivolai in fondo al gruppo, stavo quasi per ritirarmi, quando Anquetil mi affiancò e mi disse: ‘Ercole, la miniera è più dura’. Tenni duro fino all’arrivo”. Gastone Nencini: “Lui aveva una Mercedes 250 SE con le codine, io una Lancia Flavia. Si andava dal Giro del Veneto al Giro del Piemonte, e siccome la mia macchina era meno potente della sua, mi misi alla sua ruota finché l’acqua bollì e il motore fuse”. Arnaldo Pambianco: “Al Tour eravamo nella stessa camera. La mattina si alzò, aprì le finestre e si stupì. Eppure – mi disse – avrei giurato di avere visto, ieri sera, il mare. Non sapeva dell’alta e della bassa marea”.
Donne: “Il sesso fa male, così diceva Eberardo Pavesi. Il sesso fa malissimo, così sosteneva Giovanni Proietti. Posso confermare che avevano ragione: era proprio così. Quando i medici cominciarono a spiegare che il sesso non faceva poi così male, sfortunatamente io avevo già smesso di correre. Ma non ero comunque convinto delle loro tesi: se era vero che non faceva poi così male, allora voleva dire che eravamo tutti cretini?”. Donne e motori: “Se è per questo, anche la buona tavola”. E sci: “In Francia, tutti gli anni dopo Natale, ero invitato per la Settimana Arcobaleno, riservata solo ai campioni del mondo, e successivamente aperta anche a… brocchi come Anquetil e Poulidor. Organizzavano gare di sci: discesa e fondo. Una volta – fondo, a cronometro, ordine di partenza a sorteggio - scattai dietro a Guido Messina, il favorito. Lo vidi, lo raggiunsi, lo superai, vinsi. Lui, seccato, cercò la rivincita nello slalom. Con la complicità di un cronometrista, stavolta Messina fu preceduto da Vittorio Adorni. Non ci poteva credere, non si dava pace”.
Sessant’anni fa Baldini visse una stagione magica: una quindicina di vittorie fra cui il (ricchissimo) Trofeo Tendicollo a cronometro, quattro tappe e la maglia rosa finale al Giro d’Italia, il campionato italiano, il campionato del mondo, anche il Trofeo Baracchi con Aldo Moser: “La diciassettesima al Giro era il tappone dolomitico da Levico Terme a Bolzano, 198 km. Indossavo la maglia rosa. Volavo. L’arrivo era su pista. Pavesi mi urlò: ‘Ercole, la pista è in terra’. Gli risposi: ‘Perché, dovrebbe essere in cielo?’. E in volata battei – per distacco - Bobet, Defilippis, Nencini, Planckaert, Junkermann, Brankart, Lorono e Gaul”.
Marco Pastonesi
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