STORIA | 21/05/2018 | 09:22
L’appuntamento – l’ora dipendeva dalla stagione – comunque di mattina. Tre, quattro, cinque ore di allenamento. Tutti insieme. Chi c’era, c’era. Roberto Pelliconi non c’era mai, o quasi mai. La mattina preferiva starsene a letto, o a casa, o al bar. E così usciva, da solo, il pomeriggio.
Pelliconi: a giudicarlo adesso, ingrassato, non si direbbe che sia stato un bel corridore. La bicicletta l’aveva già destinata nel certificato di nascita: 14 novembre (del 1962), stesso giorno e stesso mese di Vittorio Adorni, Bernard Hinault e Vincenzo Nibali. Poi 34 vittorie da dilettante, compresi due campionati italiani. Settimo all’Olimpiade di Seul. Otto anni da professionista e otto vittorie. Ma “il Pellico” interpretava il ciclismo in maniera semplice, spontanea, ingenua, o forse romantica, avventurosa, corsara. E se fosse stato rigoroso, disciplinato, ubbidiente, non sarebbe stato più lui.
La prima vittoria al Trofeo Matteotti 1989: “Non era nei programmi, non la vittoria, neanche la corsa. Ma in allenamento, nel giro del Sillaro con la Bordona, dietro Vespa, andavo così forte che cambiai idea. Feci bene”. L’affare più ricco negli Stati Uniti: “La Million Dollar Race: chi avesse vinto tre corse, avrebbe guadagnato un milione di dollari. Lance Armstrong vinse la prima in linea a Pittsburgh e la seconda a tappe in West Virginia, leader dal primo all’ultimo giorno. Rimaneva la terza e ultima prova, a Filadelfia. Se vinco io, ci disse Armstrong, ce n’è per tutti. Angelo Canzonieri, mio compagno di squadra, si mise d’accordo con lui. Andammo in fuga, ed eravamo in quattro della Mercatone Uno, ma quando Armstrong attaccò, ci voltammo dall’altra parte e nessuno andò a prenderlo. Ci aveva promesso 50 milioni di lire, da dividere in quattro, poi li tradusse in 50 mila dollari, ma con il dollaro a 875 lire, risparmiò una bella cifra. Un peccato veniale se penso a quello che Armstrong avrebbe combinato più tardi”. Quattro Giri e tre Vuelta, mai il Tour: “Peccato, era la corsa dove sarei andato più forte”. E quella volta con Luciano Pezzi? “La feci grossa. Avevo la passione per i Swatch. Li cercavo nei negozi per rivenderli e guadagnarci. Eravamo a Reggio Calabria al secondo anno con la Mercatone Uno, nel 1993. Fabiano Fontanelli mi disse che aveva visto uno Swatch bianco in Sicilia. La voglia di allenarmi mi passò subito, e mentre gli altri andavano in bici, io presi il traghetto per Messina. Non avevo calcolato che all’ora di pranzo c’era una pausa di un’ora, così tornai in ritardo, fui scoperto da Pezzi e messo in castigo. Poi feci il bravo, ma ormai ero la pecora nera e saltai il Giro”.
L’altra sera Pelliconi, 55 anni, era nella sua Imola per la presentazione di “I nostri prof di ciclismo” (Bacchilega editore, 80 pagine, 12 euro), il libro che Nino Villa ha dedicato ai corridori imolesi diventati professionisti. Una buona scusa per concedersi una vacanza: “Da cinque anni faccio il piadinarolo in Belgio, al confine con la Francia. Le cose vanno bene. E’ facile vincere dove si mangia male”. Il ciclismo gli è rimasto dentro. “Quando si smette di correre, ognuno prende la sua strada. Ma quando ci si ritrova, è sempre una festa”.
Marco Pastonesi
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