IN RICORDO DI FRED MENGONI, LO ZIO D'AMERICA

STORIA | 04/02/2018 | 12:32
È un ricordo in nome di un grande uomo di sport, un italiano che si è fatto onore nel mondo: Fred Mengoni. È una intervista che Giorgio Viberti, collega de La Stampa, fece nell'estate del 2005, ci piace potervela riproporre, nella speranza di poter fare cosa gradita, a tutti voi e al nostro inimitabile Zio d'America.

Quasi mezzo secolo fa, era il 1957, un giovanotto marchigiano di 34 anni si imbarcò dall’Italia su un piroscafo verso gli Stati Uniti, destinazione New York, dove qualche anno più tardi sarebbe diventato un facoltoso uomo d’affari grazie a una serie di oculati e anche fortunati investimenti nel mercato immobiliare e in Borsa. Il protagonista di questa romantica storia d’altri tempi si chiama Fred Mengoni, ha 82 anni ed è un omino tenero, con la faccia e gli occhiali da Woody Allen, appassionato di ciclismo e da sempre mecenate delle due ruote in Italia come negli Stati Uniti.

Originario di Osimo, cittadina marchigiana nella provincia di Ancona famosa per la produzione di strumenti musicali, Mengoni è conosciuto e apprezzato nel mondo del pedale per le sue estemporanee sponsorizzazioni ma anche per aver scoperto e lanciato fra i professionisti alcuni giovani talenti. La sua lenta scalata verso la popolarità cominciò poco dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il giovane Mengoni stava cercando di sbarcare il lunario e di farsi un nome nelle sue Marche come accordatore di fisarmoniche, occupazione piuttosto diffusa e apprezzata nella zona. Ma gli affari stentavano a decollare. Un giorno, al cinema, il colpo di fulmine. «Mi innamorai della città che vidi nel film “Gli uomini preferiscono le bionde” e pensai che avrei voluto andare a vivere là».

Era New York, che in quella pellicola americana di inizio Anni 50 faceva da sfondo alla vicende cinematografiche di Marilyn Monroe e Jane Russell. Il giovane Mengoni, però, più che dalle due affascinanti attrici protagoniste fu colpito dai grattacieli della Grande Mela. «Due giorni dopo, ero su una nave diretta verso gli Stati Uniti, con 50 dollari in tasca e un biglietto di sola andata. Era il mese di marzo e mi sentivo padrone del mondo».

Il lungo viaggio sull’Oceano, poi finalmente ecco Liberty Island e il famoso monumento che la sovrasta, la Statua della Libertà, meta agognata di tanti altri italiani prima di lui. «Appena vidi i grattacieli di New York, ebbi subito la sensazione che quello era davvero il luogo in cui volevo vivere». La sua avventura americana era cominciata. «E non è stata facile. Lavoravo duro, mi alzavo tutte le mattine alle 5, ma alla fine ce l’ho fatta».

La solidarietà di un prete italiano, un piccolo prestito da parte di un altro connazionale di origini ebree ed ecco profilarsi le prime tenui speranze di fare fortuna. «Abitavo in una stanza di 9 metri quadrati e lavoravo 20 ore al giorno. Eppure mi trovai subito bene e decisi di restare». Mise a frutto il suo vecchio mestiere: riparava strumenti musicali e ottenne un permesso di soggiorno. New York in quegli anni era ancora un terreno fertile per chi aveva voglia e fantasia. Mengoni investì in Borsa i primi guadagni e cominciò così a importare strumenti musicali dall’Italia. Ma la svolta avvenne alcuni anni più tardi, quando acquistò - con l’aiuto di amici italiani - un piccolo locale nel cuore di Manhattan dove teneva le fisarmoniche e le chitarre. In poco tempo quel magazzino raddoppiò il suo valore e in Mengoni fece scattare la scintilla: era il settore immobiliare a offrire le migliori prospettive in una città in grande espansione come New York. Venduto con sostanzioso guadagno il «vecchio» magazzino, acquistò una chiesa sconsacrata da cui ricavò alcuni alloggi. Li cedette e ricavò altro denaro da investire. I soldi fanno soldi e oggi Fred Mengoni, a forza di vendere e comprare immobili, si divide fra la sua casa di 5 piani a Manhattan, con un favoloso giardino pensile e stanze piene di quadri preziosi fra cui un Velázquez, e la faraonica villa di Long Island. Inoltre possiede altri 300 appartamenti a New York, altrettanti sparsi in tutto il mondo, oltre a un buon pacchetto azionario a Wall Street.

Senza naturalmente dimenticare le sue Marche, dove ha avviato la costruzione di 400 alloggi con vista sulla splendida riviera del Conero e mantenuto la residenza a Osimo, anche se presto la trasferirà a Roma. La ricchezza non l’ha però allontanato dalle sue origini, i luoghi in cui ancor bambino aveva sognato di diventare un ciclista professionista, di disputare le grandi classiche, di vincere un Giro d’Italia. Da ragazzo si era dedicato con passione alla bicicletta, allenandosi come un forsennato e vincendo anche alcune gare regionali. Ma senza riuscire a sfondare, il suo fisico non era proprio da superman. «Il ciclismo ha sempre avuto un posto nel mio cuore. Anche a New York sono sempre andato su è giù per Manhattan in bicicletta».

Ma non si è limitato a pedalare. Nella Grande Mela ha anche fondato e finanziato una delle più grandi società dilettantistiche americane di ciclismo (ne avrebbe poi creata un’altra nelle Marche), contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del professionismo negli Stati Uniti tanto da entrare infine nella Hall of Fame, la vetrina americana dei più grandi personaggi sportivi di tutto il mondo, e diventare membro a vita della federazione ciclistica statunitense. Fu Mengoni infatti a scoprire e lanciare corridori diventati poi famosi come Greg LeMond (californiano, due Mondiali e tre Tour de France nel suo palmarès), Steve Bauer (canadese, argento olimpico ‘84 e un Campionato di Zurigo), George Hincapie (statunitense, 19 vittorie da professionista, tuttora in attività). E deve molto a Fred anche l’asso texano Lance Armstrong, iridato nel ‘93 e vincitore quest’anno del suo settimo Tour consecutivo prima di ritirarsi dall’attività. Ancora oggi Mengoni, compatibilmente con i frequenti viaggi per il mondo, si fa due o tre ore di bicicletta ogni giorno. Ma soprattutto segue tutte le corse più importanti, dalla Milano-Sanremo di inizio stagione al Giro di Lombardia che chiude il calendario internazionale. E in mezzo, naturalmente, i Mondiali e nel caso anche le Olimpiadi. Come avvenne l’anno scorso, quando a metà agosto nel Trofeo Mengoni (corsa marchigiana, da lui sponsorizzata, che porta il suo nome) i cinque azzurri convocati per i Giochi di Sydney gareggiarono con la maglia della Nazionale, prima volta nella storia in una gara per rappresentative di club. E poi volarono con l’aereo privato del munifico Mengoni nella capitale ellenica, dove Paolo Bettini vinse l’oro olimpico sotto gli occhi entusiasti dello stesso Fred, lo zio d’America.

Giorgio Viberti
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