STORIA | 30/10/2017 | 09:13 A scuola, alle medie, quando ci metteva troppo tempo a cambiarsi ed era sempre l’ultimo a uscire dallo spogliatoio, il custode della palestra lo chiamava “Malabrocca”. “Tieni lo sguardo sui raggi / ché la salita sembra meno salita / così pensava Malabrocca guardando l’asfalto / asciugato dal sole di maggio”.
Lui pensava che fosse un modo di dire, un complimento rovesciato, un incoraggiamento scolastico, finché un giorno, leggendo La Stampa, fu attratto da un articolo su un certo Luigi Malabrocca. “Qui è maggio ma sembra lo Scrivia d’agosto / quando era in secca ci andavo a pescare le rane. / Siamo in pochi qui in fondo alla corsa / e un gregario che cosa si deve inventare”.
Tornò a scuola, alle medie, ritrovò il vecchio custode, “Ehi, ma guarda chi c’è, Malabrocca”, “Ecco, proprio questo, perché mi chiamava così?”, e fu allora che scoprì un corridore, una maglia, una storia. “Un gregario sta zitto e pedala / per portare a baita ‘quatar danè’ / con la Ninfa che è a casa ad aspettare / e questa vita non va mai come deve andare”.
Massimiliano Cranchi (nella foto, con Serena Malabrocca, nipote – la figlia del figlio - del leggendario Luigi) ha 35 anni, è mantovano di Sermide, suona e compone, musicista e cantautore. Quattro album, “Malabrocca” (dal cd “Spiegazioni improbabili”) è una delle sue ultime creazioni, una ballata che sa di Ticino silenzioso e ciclismo romantico, di strade sterrate e campi assolati, di zanzare d’estate e nebbia d’inverno, di fatica in salita e trucchi in corsa, una lunga pedalata nella vita che ricominciava dopo la Seconda guerra mondiale. “Questa vita è tutto uno spintone, / figurati poi quando non nasci campione, / con un ghigno che sembri un cinese / e la scalogna nera nel nome”.
La prima bici “un’Atala bianca, mountain bike, regalo per la prima Comunione”, la bici di adesso “una Torpado azzurra e catartica, regalata per scherzo, poi usata tutti i giorni per due mesi come fonte di ispirazione”, il primo Giro d’Italia “alla tv, ad ascoltare Auro Bulbarelli che raccontava la storia dei paesini lungo il percorso”, l’ultimo Giro “sulla strada, quest’anno, la tappa di Bormio, il doppio Stelvio, la vittoria di Nibali e il mal di pancia di Dumoulin”. “Quel nome non lo scorda più nessuno / in giro per l’Italia nel ’46: / la maglia nera non è fame e miseria / ma la calma di chi prima o poi arriverà”.
Massimiliano si è innamorato della bici “che da essere inanimato diventa animato, e ti tira fuori l’anima”, di quel pedalare “che costa sforzo e impegno, anche se da noi l’unica salita è quella per salire sugli argini del Po”, di quell’andatura “che è così musicale e letteraria, da Paolo Conte a Francesco De Gregori”. “Col male al culo e la mani sporche di ‘morcia’ / un copertone girato sulla schiena, / che ti importa di Bartali in fuga? / Stai solo attento a Carollo che ti frega”.
Non era un corridore né un direttore sportivo, non era un meccanico né un massaggiatore, ma era tutto questo e molto di più: perché lui, il ciclismo, lo leggeva. Articoli e libri, perfino i miei, nonché radio e tv, che...
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