PROFESSIONISTI | 20/09/2017 | 11:11 Daniele Bennati domenica sarà il regista della nazionale. Può spiegare cosa fa un regista ai Mondiali di ciclismo? «Una specie di ct in corsa. Più che altro sono il meno giovane, di gran lunga. Quindi dovrei prendermi la responsabilità di guidare la corsa. Entro certi limiti».
Quali limiti? «Posso dare una mano a capire chi ne avrà di più nel finale. Ma se non c’è più benzina nelle gambe, non posso mettercela io».
Quindi ci sarà un momento in cui diremo: puntiamo su di lui, perché è quello che oggi sta meglio. «Bisognerà prendere la decisione giusta. Ne abbiamo tre veloci, che vanno forte: se il Mondiale arriverà in volata dovranno essere abbastanza grandi per decidere per chi si corre, come facciamo tutto l’anno nelle nostre squadre di club. Una cosa che dovrebbe facilitarci è che sono tutti giovani, non sarà Bergen l’ultima occasione per nessuno di loro. Certo, sul podio ci sono tre posti ed è abbastanza improbabile che ci possano andare tre italiani».
Quindi? «Quindi suggerisco di andare d’accordo, di aiutarsi a vicenda, e di aiutare tutti quello che quel giorno andrà più forte».
E’ sicuro che finirà in volata? «E’ soltanto una delle possibilità. Può darsi invece che vadano via in tre o quattro e uno sia, tanto per fare un esempio, Moscon. Oppure Ulissi».
Domenica lei compie 37 anni. «Come ho detto, sono il meno giovane. Speriamo di farci un bel regalo. Di sicuro non siamo i favoriti, ci sono molte individualità superiori. Pensandoci bene, un podio sarebbe già una vittoria per noi. Però i Mondiali non si corrono sulla carta».
Per lei sarà il settimo. «In realtà c’ero anche a Zolder, quando vinse Cipollini. Ho fatto la riserva, ma è il mio ricordo più bello. Ero compagno di squadra di Mario, ho vissuto quell’atmosfera, me la sono proprio goduta. E fino all’ultimo ho sperato di poter correre. Ma avevo ventidue anni, e Ballerini preferì andare sul sicuro».
Prima volta, Madrid 2005: vinse Boonen. «Quell’anno Petacchi era veramente forte. Purtroppo non quel giorno. Io dovevo stare vicino a lui fino alla fine, e così feci, anche quando si staccò».
Secondo Mondiale a Copenaghen, nel 2011: Cavendish. «Quell’anno in teoria dovevano lavorare tutti per me. Stavo molto bene, ma il treno non funzionò, ci perdemmo nell’ultima curva. Arrivai quattordicesimo, ma avevo le gambe per fare meglio».
A Ponferrada, tre anni dopo, vinse Kwiatkowski. «Prima sono stato con Nibali, poi con Colbrelli. Stavo bene, venivo dalla Vuelta vinta con Contador, ci mancò soltanto lo spunto nel finale».
L’anno dopo a Richmond, primo anno di Sagan. «A noi mancarono un po’ le gambe nel finale».
L’anno scorso a Doha: ancora Sagan. «La mia miglior prestazione atletica da quando corro in bici. Non eravamo i più forti e lo sapevamo. Nizzolo forse poteva salire sul podio».
Neanche quest’anno siamo i favoriti. Chi sono i più forti? «Sagan sicuramente, anche se non ha squadra. Ma sfrutterà il lavoro degli altri. Può portare via un gruppetto, o aspettare la volata. Può scegliere».
I belgi? «Fortissimi, non solo Van Avermaet. Credo che proveranno ad attaccare da lontano».
Gli altri? «I norvegesi hanno due soluzioni: provarci prima con Boasson Hagen, o aspettare lo sprint con Kristoff. Poi c’è l’Australia: corrono tutti per Matthews. E Kwiatkowski, lui c’è sempre».
Meglio avere una sola punta o tante soluzioni diverse? «Devo essere sincero? Preferirei avere un Bettini, per andare sul sicuro. Invece dovremo inventarci qualcosa».
Alessandra Giardini, da Il Corriere dello Sport - Stadio
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