UN GIRO AL TOUR. UNIVERSITÀ DI LUCA

PROFESSIONISTI | 12/07/2017 | 07:22
«Io ho saltato l’asilo, le elementari, le medie e anche le superiori. Sono andato direttamente all’università». Luca Vaiente ride mentre riempie il carrello del supermercato. E’ già la seconda volta in un giorno, «mi dimentico sempre qualcosa», e in squadra c’è bisogno di tutto quando il Tour viaggia verso la metà strada. Non è che Luca sia veramente sfuggito al sistema scolastico italiano, no, era soltanto una metafora. «Sì, nella vita di prima sono diventato perito agrario, e poi ho fatto massofisioterapia. Invece nella vita vera, il ciclismo, ho fatto subito l’università».

Luca racconta così l’incontro fatale con Gianni Bugno, «il mio corridore». Ognuno di noi che gironzoliamo nel ciclismo ha un suo corridore, ma non tutti sono così sinceri da dichiararlo. Luca lo dice dopo due parole, il suo corridore è stato Bugno. «Il giorno più bello della mia carriera è stato quando ha vinto il Fiandre. Ero lì al traguardo che lo aspettavo, si vede anche nel video del finale, siamo io, Franz Villa e Claudio Corti, il direttore. E Gianni mi chiedeva: ho vinto io? Ho vinto io? Perché Museeuw aveva dato il colpo di reni, e c’era la paura che fosse riuscito a passare. Ma io dicevo a Gianni: non lo so, non ho visto. Meno male, è andata bene. Un giorno indimenticabile. Ho conservato un giornale belga di quella vittoria, Gianni ci ha scritto la dedica ed è diventato un quadro, in casa mia».
  
Luca non aveva neanche ventidue anni, ed era il massaggiatore di Bugno,
che aveva già nel curriculum un Giro d’Italia, una Sanremo e due Mondiali. «Mio padre conosceva Corti, che era il direttore alla Gatorade, e mi fece cominciare lì. Era la fine del ‘90, avevo diciotto anni». Il papà di Luca, Bruno, era passato professionista all’Ignis, «e lì in quella grande polisportiva aveva conosciuto il giovanissimo Dino Meneghin, che ne combinava di tutti i colori». Il figlio di Bruno corre fino ai sedici anni, «poi non potevo permettermi di essere bocciato, perché i miei faticavano per mandarmi a scuola, e allora lasciai le corse». Le corse sì, il ciclismo no. Pronti via, Luca diventa il massaggiatore di Bugno. Uno di poche parole. «Con me parlava. Il giusto. Quello che ci dovevamo dire ce lo dicevamo. Quando sei partito con uno così, dopo ti sembra di giocare». Massaggiatore, confessore, psicologo, Luca capisce al volo se è il momento di chiacchierare o se invece è meglio un po’ di stacco. Questa è la sua sesta stagione alla BMC, «sì, ai muscoli di Oss e di Quinziato penso io, soprattutto a Oss perché Manuel adesso abita in Spagna». Oss invece vive a Torbole, e Luca a Isola della Scala. «Dire che ci vivo non è esatto. Ci dormo ogni tanto. Sono via da casa duecento giorni l’anno». A casa c’è Sara, con Patrick che ha nove anni e Mathias che ne compirà quattro il 29 luglio. E poi c’è Renata, la mamma di Luca, e meno male che ci sono le nonne.
  
Torniamo a Oss, e al suo massaggiatore, confessore, psicologo. «Ah, Daniel è un artista, pane per i tuoi denti». In che senso? «Uno che piace alle ragazze. Io ci sto sempre a discutere, lui è uno dei tanti talenti inespressi del nostro ciclismo. Purtroppo testa e motore sono su due piani diversi: e il computer, cioè la testa, spesso si stanca prima delle gambe». Beh, ci vai leggero. E lui cosa ti dice? «Che sono una lagna, e non sono mai contento».

Per Luca è il Tour numero quindici, «mi occupo di Damiano Caruso e di Nicholas Roche, Damiano è uno di quelli che non amano chiacchierare della corsa quando li massaggi, parliamo di figli, di cose da mangiare, di stupidate». A Luca piace il calcio, «un’altra mia passione, anche se non ho una squadra, tifo per tutte le italiane nelle coppe, da piccolo ero del Verona perché vinse lo scudetto, adesso ammiro il Chievo perché la squadra di un quartiere è diventata un modello. All’estero tifo Manchester City». All’estero Luca vive e lavora, «comincio in inverno con i training camp in Spagna, poi si va in Australia, in Spagna o nei Paesi arabi. Tirreno, Sanremo, niente classiche, Trentino, Giro, campionato italiano, Tour, London Classic, Eneco Tour, poi un camp a Torbole per la squadra a cronometro, il Giro di Inghilterra e il Mondiale crono, in tutto questo in bici ci andrò tre o quattro volte in un anno».

Luca c’era a Benidorm
, quando Bugno vinse il suo secondo mondiale, «non ero con la Nazionale, ero andato per lui», e c’era a Duitama, in Colombia, quando Olano sorprese il suo capitano Indurain, «e Gianni là si fermò». Luca è stato ai Mondiali con la Svizzera, «Cancellara lo conosco poco, posso dirti che è una brava persona», e ovviamente con l’Italia, «Cassani lo conosco da una vita, è stato un mio corridore alla Mg». Luca è poco diplomatico, la sua Sara dice che è poco flessibile, «ma se uno non mi piace, non mi piace».

Una vita in giro per il mondo e per corridori, un giorno erano Bartoli, Sciandri, Baldato, «lui mi piaceva, magari non lo vedevi tutto il giorno ma all’arrivo c’era sempre». Oggi Baldato è uno dei suoi direttori sportivi, uno degli italiani della BMC. «Spero per l’Italia che un giorno torneremo ad avere una nostra squadra nel World Tour, eravamo i numeri uno, la scuola per tutti, e adesso siamo diventati la periferia dell’impero. Si parla tanto di fuga dei cervelli, qui mi sembra che scappino tutti, anche le gambe, le braccia. Però il ciclismo è cambiato, e se torneranno le squadre italiane non sarà comunque più come prima. Lo sai chi è stato il mio direttore?». Ovviamente no. «Ferretti. Chiamalo, Ferron, digli che hai parlato con me. Vedrai che urlo che farà: Luchino, il mio Luchino. Te l’ho già detto che ho cominciato dall’università?».

Alessandra Giardini

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