UN GIRO AL TOUR. IL PANCA RACCONTA

PROFESSIONISTI | 11/07/2017 | 07:19
Viaggio (lunghi viaggi, interminabili trasferimenti), convivenza (qualche volta forzata), fatica (non la fanno soltanto i corridori, no), panini sbranati nei ritagli di tempo (in questo caso nella pausa pubblicità) e qualche volta alberghi con più polvere che stelle. Il ciclismo è anche questo, e il Tour de France non fa eccezione. Un esempio di convivenza? Oggi Francesco Pancani, the voice, festeggia le nozze d’argento con Alessandra. E con chi passa la giornata? Con Silvio Martinello, ovviamente. «Inseparabili dall’inizio del 2014, l’anno del Giro di Nibali. E per sei mesi l’anno sto molto più con Silvio che con mia moglie». Non è tutto rose e fiori, come si dice. «Lui mi critica perché non faccio altro che dormire. Ma Silvio guida benissimo, e poi gli piace. Quando affittiamo la macchina non mostro neanche la mia patente come seconda guida. Tanto appena salgo in macchina mi addormento. Io dormo a comando. Se la mattina dall’albergo alla postazione ci sono cinque chilometri, io in quei cinque chilometri mi faccio un sonno. Mi sono appena svegliato? E allora? Tutto serve».

Funziona così: quando finisce la tappa la nostra coppia di fatto sistema un po’ gli appunti, «qualche volta preparo un pezzo per il tg», e verso le sette di sera si mette in macchina. «Andiamo subito all’arrivo della tappa successiva, anticipiamo la corsa di un giorno praticamente. La mattina alle dieci e mezza, undici al massimo, siamo in postazione. Lettura dei giornali, qualche telefonata ai direttori sportivi, poi si comincia». Non immaginatevi uno studio con tutti i comfort. «Qui al Tour ci danno poco più di un loculo, e il problema principale è la rigorosa divisione dello spazio. Sembra una roba da niente, ma con Martinello è un incubo: se appoggio una penna nel punto sbagliato, nel suo territorio, finisce che litighiamo. Quando c’è uno stacco pubblicitario ne approfittiamo per mangiare un panino. Io lo prendo e lo mordo. Lui tira fuori le salviette, si pulisce le mani, si fa una tovaglietta. Poi mangia il panino. Lo dovresti vedere: a volte glielo chiedo, ma come hai fatto a fare il corridore? E’ bravissimo, per carità, ma è allucinante. Quanto a precisione e puntualità è malato. Pensa che mia moglie mi critica sempre perché secondo lei sono troppo preciso. Beh, a sentire Silvio invece sono un cialtrone».

Il ciclismo entra nella vita di Pancani per caso, come spesso succede. I primi tempi alla Città, un giornale di Firenze che ha fatto nascere e crescere tanti grandi giornalisti, «è stato fondamentale, anche perché lì ho conosciuto Alessandra». Un anno a collaborare a Tuttosport assieme ad Alessandro Bocci, per noi Boccino, ora al Corriere della Sera. E nel ’92 l’assunzione alla Rai. «Comincio con il pallone, facevo il galoppino per Ciotti a Tutto il calcio minuto per minuto, prima la Serie C, poi la B, poi la A». Un martedì gli dicono: domenica sei a Piacenza. Poi dopo un po’ richiamano. «Non troviamo nessuno che voglia fare il Giro d’Italia in moto. Ti va?». Gli andava. «Allora procurati un casco, fra tre giorni partite dall’Isola d’Elba». Erano gli anni di Mediaset, e la Rai seguiva il Giro soltanto per la radio. «Bellissimo, lo feci per tre anni ma poi scelsi la pallavolo. Era il mio sport, l’ho seguito per tredici anni, anni d’oro, mi sono tolto grandi soddisfazioni».

Molto più tardi, nel 2007, Pancani e il ciclismo si incontrano di nuovo. «Alessandro Fabretti scese dalla moto, e a Bulbarelli venne in mente non so come che io avevo fatto quei Giri in moto per la radio. Mi assicurai che non avrei perso la pallavolo, e dissi ancora di sì, ma quella volta per la tivù». A fine 2009 Bulbarelli diventa vicedirettore, e deve lasciare le telecronache. E’ Pancani che chiamano. «Ci pensai un bel po’. Si trattava di lasciare il volley, che è bellissimo e non dà tante pressioni. Poi accettai. Passai l’inverno a studiare, non ho mai studiato tanto in tutta la mia vita». L’avventura comincia un giorno di febbraio del 2010. «Purtroppo non posso dimenticarlo, era il Costa degli Etruschi, l’ultima corsa di Ballerini. Il giorno dopo ci fu quel maledetto incidente. Mi ricordo che avevamo parlato, mi aveva rassicurato: se hai bisogno chiamami, e poi tu sei toscano, vedrai che li prendi tutti di tacco. Una frase che non posso dimenticare».

Viaggi, convivenze, incontri speciali: il ciclismo è tutto quanto. «L’eccezionalità di questo sport è l’aspetto umano. E’ qualcosa che mi ha arricchito moltissimo. Prima di lavorare nel ciclismo non era proprio la mia passione. Avevo un mito, come tutti: Alfredo Martini. Mi ricordo che da ragazzo lo avevo chiamato per fargli un’intervista, per la Città. Mi aveva tenuto tre ore al telefono, e io non ero nessuno. Tutto il tempo che ho passato con lui è stato prezioso, c’era soltanto da imparare». I primi anni in telecronaca Francesco li fa in tandem con Davide Cassani, che poi lascia la tivù per fare il ct. «La telecronaca più bella? Le Tre Cime di Lavaredo di Nibali. E nella pallavolo la finale di Atene contro il Brasile, anche se fu una sconfitta. Una che non dimenticherò è quella del giorno in cui morì Weylandt al Giro: noi sapevamo quello che era successo ma non potevamo dirlo, furono novanta minuti molto faticosi e dolorosi. In quei casi ti rendi conto di quanto sia forte la responsabilità di avere un microfono in mano. Fummo bravi, rispettosi».

Da lavoro a passione, mentre nasce un altro grande amore. «Persi la testa per i cavalli nell’89. Ho imparato a cavalcare, poi a guidare. Per qualche anno ho avuto una scuderia, oddio una scuderia, due cavalli e neanche tutti miei, una zampa di uno, una di un altro, erano in società con degli amici. Adesso però l’ippica sta morendo. Ho un cavallo, un ex trottatore: di passaporto si chiamerebbe Final Time, io l’ho ribattezzato Cicalo, che poi in toscano sarebbe Cihalo. Abito a quattro minuti da Coverciano ma in aperta campagna, da quando faccio il contadino mi è davvero cambiata la vita. L’unica cosa che non mi riesce è alzarmi presto la mattina». Oltre a Cihalo, ci sono altri due cavalli di una vicina, due capre, un gatto, un cane, «i cinghiali che ci invadono», e poi gli ulivi e l’orto.

Anche i telecronisti hanno un’anima, e soprattutto un corridore del cuore. «Il mio preferito è Van Avermaet, mi piace troppo. E poi sono legatissimo a Nibali, ho raccontato le sue vittorie più belle, la mia carriera è legata a lui. Aru mi piace, sono andato a casa sua a fare un’intervista e ho scoperto una famiglia meravigliosa, con valori profondi». Siamo pronti per il gran finale: chi lo vince il Tour? «Non posso dirlo». Perché non lo sai, si capisce. «No, non è per quello. E’ che a cinquantadue anni per la prima volta mi sono scoperto scaramantico». Andiamo bene.

Alessandra Giardini

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COMMENTI
Venerdì
11 luglio 2017 16:28 Leonk80
ai meno 60 km dall'arrivo, sono scoppiati a ridere in diretta, sono stati 30 secondi in silenzio perchè si capiva che non riuscivano a parlare e poi hanno mandato la pubblicità!!
Magari un giorni ci spiegheranno il motivo.

Si completano
12 luglio 2017 06:48 Savo
A mio parere sono una bella coppia che si completano

Refuso
12 luglio 2017 13:13 teos
Il 2014 non fu l'anno del Giro di Nibali, bensì l'anno del Tour di Nibali. E dovrebbe essere riferito a quest'ultimo in quanto si parlava dell'accoppiata Pancani-Martinello, con quest'ultimo entrato a fare il commentatore tecnico giusto nel 2014. Personalmente io ho cominciato a seguire il ciclismo sotto Bulbarelli e Cassani e adoravo le loro telecronache, Pancani-Martinello li trovo senz'altro estremamente professionali, su questo nulla da eccepire, però a livello di coinvolgimento li vedo un gradino sotto. Ma concedo loro l'attenuante del tempo, visto che in questo mestiere secondo me si migliora decisamente col passare del tempo e l'acquisizione di nozioni storiche, affinità e tempi di attacco.

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