RAVASI. «IL GIRO? SCUOLA IMPORTANTE»

PROFESSIONISTI | 22/06/2017 | 07:54
Al via da Alghero aveva la pel­le d’oca e gli occhi so­gnanti. Emozionato come un bimbo al parco giochi. «Sono qui per imparare, tremo per l’emozione, guardando i campioni che ho al fianco e la marea di pubblico a bor­do strada. Non ho mai visto così tanta gente in festa come sulle strade del Giro d’Italia».
Edward Ravasi, miglior Under 23 della stagione scorsa, celebrato con l’Oscar tuttoBICI, ci racconta il suo debutto al­la corsa rosa. Il 22enne varesino (spegnerà 23 candeline il 5 giugno) della UAE Fly Emirates, con ancora fresca l’emozione negli occhi e la fatica di tre settimane nelle gambe, ci svela lo stupore della sua prima esperienza in rosa.

Come è stato il tuo primo Giro?
«In una parola, sarà anche banale: bel­lo. Arrivando con soli 6 giorni di gara, avendo ricevuto la chiamata all’ultimo, ero partito con pochissime ambizioni. Essendo al primo anno, arrivando da un infortunio, non sapevo a che punto potevo essere e fin dove potevo arrivare, al confronto di corridori ben più esperti e che avevano preparato specificatamente quest’obiettivo. Mi sono ge­stito bene, anche grazie ai miei tecnici, mi sono fatto trovare pronto all’occorrenza e ho provato ad essere protagonistica anche nell’ultima settimana. Ho sofferto tanto l’altura, passati i 1.600-1.800 metri non mi sentivo bene, non mi ero allenato per sopportare determinati sforzi in montagna. Ne­gli ultimi giorni comunque ho recuperato be­ne do­po l’attacco nel­la gior­nata dello Stelvio perciò posso dir­mi soddisfatto di questo inatteso debutto».

Cosa hai imparato?
«Che ogni piccolo dettaglio fa la differenza. Lo sapevo, ma ne ho avuto la conferma dalla metodologia dei vari capitani, sempre presenti nella prima parte del gruppo: appena finita la tappa montavano subito sui rulli e si preoccupavano di recuperare alimentandosi e rilassandosi sul bus. Su tre settimane, ogni piccola accortezza fa la differenza. L’ho provato sulla mia pelle: se sprechi quel qualcosina in più, il giorno dopo lo paghi. Ho imparato che bisogna sempre essere concentrati. I primi giorni è stato stressante tenere le posizioni a causa del vento. In gara mi hanno sorpreso i cambi di ritmo. Ogni occasione era buona per i big per mettersi in crisi l’uno con l’altro. Ho imparato che ogni tappa è utile ai fini della classifica generale».

Il momento più bello?
«Mi è piaciuto condividere la vittoria del mio compagno di stanza Polanc sull’Etna. Jan è un ragazzo giovane ma con una grinta incredibile. Non molla mai».

La tappa più dura?
«Due giorni dopo lo Stelvio, quando dovevamo affrontare i cinque passi, ho vissuto una giornata davvero brutta. Mi sono ritrovato ben presto nel gruppetto, non riuscivo quasi a tenere le ruote, ero in uno stato pietoso e per 20 chilometri mi sono chiesto: “chi me lo fa fare?”, poi nel finale per fortuna mi sono ripreso».

Cosa ti ha detto per il futuro?

«Mi ha lasciato un buon presentimento e la consapevolezza che ho ancora tanto da lavorare. Ho ricevuto tanti suggerimenti utili da Rui Costa, dal dot­tor Corsetti e dai nostri diesse, che mi hanno permesso di uscire dal Giro con una buona condizione. In programma ora ho il Giro di Slovenia e il Campio­nato Italiano. Nelle prossime due settimane voglio tenere duro, per sfruttare la condizione. Penso di essere stato l’unico neoprof con Albanese al via e forse l’unico a raggiungere Milano, dicono tutti che una corsa di tre settimane ti cambia il motore, ti fa crescere, io lo spero davvero. A lu­glio andrò ad allenarmi in altura con la squadra, rientrerò alle gare a San Sebastian, poi disputerò il Tour of Colorado in cui vorrei far bene, quindi le corse di Quebec e Montreal».

La tua famiglia ti ha seguito dal vivo?
«La mia ragazza Martina ha preso le ferie ed è venuta a vedermi il giorno dello Stelvio, quando ero in fuga, e a qualche altro arrivo insieme alla mia famiglia. Il tifo è stato qualcosa di in­credibile, il primo giorno durante il trasferimento avevo i brividi. Nei pressi dei paesi non riuscivo neanche a parlare con il compagno che avevo di fianco per il boato del pubblico al nostro passaggio, bellissimo».

Tornato a casa, cosa ti sei concesso?
«Dopo un mese a base di pasta, riso, petto di pollo, mi sono goduto una buona pizza e qualche giornata con gli amici, la famiglia e la morosa. So­no andato al lago a prendere il sole, dopo tutti ’sti giorni in sella ho una abbronzatura imbarazzante».

Quando è entrata la bicicletta nella tua vita?
«Il giorno in cui ho deciso di mettermi alla prova con la Besnatese, la squadra del mio paese, Besnate ap­punto, in provincia di Varese. Papà per aiutarmi a trovare uno sport che mi appassionasse e offrirmi uno sva­go mi ha portato a casa una bici ver­de con le pedivelle eccessivamente lun­ghe su cui ho mosso le prime pe­dal­ate. Ricordo che nella prova percorso della mia prima corsa ero caduto: pensavo che fosse già iniziata la ga­ra quindi andavo a tutta (sorride, ndr)».

Come hai vissuto il grande salto?
«Non me lo aspettavo così. Con il team avevamo pianificato tutt’altro programma, ma l’infortunio l’ha stravolto. Dovevo partecipare a tutte quelle corse WorldTour di una settimana per avvicinarmi pian piano alle gare più impegnative, invece ho cor­so il Tour of Croatia e subito il Giro. Bam! Non posso negarlo, è stato un impatto forte. Da scalatore mi ha im­pressionato l’andatura folle del gruppo in pianura, tra i professionisti le salite si prendono a tutta, per arrivarci fresco dovrò migliorare. Con il tempo e il lavoro penso verrà automatico. Detto ciò, la squadra non mi ha spremuto quindi sono contento di questi primi mesi tra i grandi».

Chi devi ringraziare?
«Ho avuto un percorso di crescita regolare, tanto merito è della mia fa­miglia (papà Giuseppe, mamma Cri­stina e mia sorella Alessandra, che è molto più grande di me, abbiamo 17 anni di differenza) che ha affrontato tanti sacrifici fin dalle categorie giovanili e mi ha sempre supportato nei momenti difficili. Inoltre devo ringraziare tutte le squadre in cui ho militato, non da ultimo il team Colpack che mi ha dato la possibilità di maturare in un ambiente familiare offrendomi occasioni preziose che mi hanno permesso di arrivare pronto al professionismo».

Cosa speri per la tua carriera?
«Spero sia il più lunga possibile e di riuscire fin da subito a togliermi qualche soddisfazione. Non mi sono posto obiettivi particolari per il 2017, visto che per me è tutto nuovo. Già debuttare al Giro d’Italia al primo anno nella categoria è stato un bel traguardo. Per il resto, ora penso a lavorare per la squadra e ad imparare il più possibile dai miei capitani, poi vedremo che corridore sarò e se mi dimostrerò all’altezza di questo mondo. Il Giro è stato davvero un bel banco di prova».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di giugno
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