Editoriale
Quanto imbarazzo e, soprattutto, quanti interrogativi.
Limitiamoci a questi ultimi.
Perché continuare a invocare chiarezza e rigore per poi proseguire imperterriti l’ipocrita danza dei controlli preventivi a tutela della salute «che doping non è»? Si ostinano a dire che sono solo un provvedimento in favore dell’integrità fisica dell’atleta: non è giunto forse il momento di chiamare le cose con il loro nome?
Perché scandalizzarsi se un gruppo di corridori partecipanti al Giro d’Italia si rifiutano di aderire alla campagna volontaria del Coni «Io non rischio la salute»? Se è volontaria dov’è il problema?
Perché il Coni, con alle spalle anni di negligenze e scheletri negli armadi, ha deciso di mettere a punto una campagna in favore dello sport pulito che non mette però sullo stesso piano tutti gli atleti? Il Coni, al Giro, poteva controllare esclusivamente i corridori italiani residenti in Italia (Cipollini, Gotti, Faustini etc... residenti a Montecarlo, no!), creadno di fatto una sperequazione di trattamento con i colleghi stranieri. Tutti i controlli sono i benvenuti, ma si fa sempre più indispensabile una regolamentazione unitaria e univoca per tutti i corridori e in tutti i Paesi: per questo compito, al momento, solo l’Uci è al di sopra delle parti. A proposito: la Federazione ci può far sapere come è andata a finire la «questione Recinella e Pippo Casagrande», i quali aderirono al progetto «Io non rischio la salute» ma furono trovati non in regola?
Perché, come è già successo diverse altre volte (vedi «caso Chiappucci»), viene sistematicamente violata e calpestata la tanto decantata legge sulla privacy? Quella dannatissima mattina del 5 giugno Pantani presentava i valori del sangue sballati? Bene, che lo si fermi ma che sia il suo team a comunicarne la ragione. Se questo esame è preventivo e non è un provvedimento disciplinare, perché metterlo alla gogna? e soprattutto, chi aveva interesse a farlo? Noi abbiamo qualche sospetto: la Federciclismo e il Coni non ne sanno niente?
Perché il Coni e il suo presidente Petrucci, tanto sensibile alle vicende dolorosissime del ciclismo, non si sta muovendo con lo stesso rigore e la stessa abnegazione nei meandri di altri sport? Ci risulta che il calcio professionistico se ne guardi bene dall’accettare qualsiasi tipo di controllo suppletivo ai tradizionali esami delle urine, che è bene ricordarlo, non hanno nemmeno mai fatto: Acqua Acetosa docet.
Perché il presidente federale Gian Carlo Ceruti tre anni fa se la prese tanto con l’allora presidente Raffaele Carlesso il quale all’Ansa ebbe la malaugurata idea di dire che il 70% dei corridori erano dopati? Ceruti, allora, si indignò moltissimo: «Come si permette di dire certe cose!». Sotto la sua presidenza il ciclismo ha coperto il gap. Oggi abbiamo la certezza: il 100% dei ciclisti sono dopati.
Perché la Francia del ministro Buffet è tanto rigorosa con il ciclismo e poi fa finta di niente quando i tennisti, iscritti al Roland Garros, decidono di non sottoporsi al «suivi medical» e ad ogni altro tipo di controllo? I ciclisti sono forse sportivi di serie B?
Perché dobbiamo pensare che lo sport possa un giorno non essere più minato dal doping? Sarebbe come pretendere una società senza furti o omicidi. Non sarebbe il caso di mettere a punto un sistema antidoping forte, ferreo, credibile, inattaccabile e accettato e riconosciuto da tutti gli “sportivi professionisti” del globo? Non dovrebbe essere forse questo il vero obiettivo da perseguire, tutti assieme, senza ambiguità, ad incominciare dal presidente Ceruti, che invece di battersi per uno sport pulito è più interessato alla propria immagine che a quella dei suoi tesserati?
Perché il presidente federale, che dovrebbe avere il ruolo di “buon padre”, in un momento così delicato per il ciclismo tutto, non ha pensato a convocare un Consiglio Federale straordinario allargato a tutti i presidenti regionali, e ha preferito muoversi - come suo solito - in tutta autonomia, considerando il ciclismo e la federazione proprietà privata?
Perché il presidente Ceruti chiede la riduzione dei giorni di corsa nei grandi Giri quando poi ci si accorge, dati alla mano, che il Giro dei dilettanti ha una media quotidiana di 147 chilometri in 12 giorni di competizione, ben 22 gran premi della montagna, nessun giorno di riposo, e tappe con punte di 201 chilometri? Forse perché Marco Toni, invisibile referente della Struttura Tecnica, era molto più impegnato a vincere le elezioni di sindaco che a stilare dei programmi tecnici rispondenti alle reali esigenze del movimento e in linea con le direttive federali?
Perché sono stati messi in dubbio gli esami eseguiti dall’Unione Ciclistica Internazionale che, nella sostanza delle cose, hanno fin qui mietuto vittime illustri (vedi Pantani)? Come si fa a dire che l’Uci scherza? Petrucci parli con Nizzola e suoi amichetti?
Perché l’Uci si ostina a porre vincoli e paletti alla costruzione geometrica della bicicletta in nome di un’eguaglianza e di un «predominio dell’uomo sulla bicicletta», quando sa benissimo che l’uomo - oggi - domina l’uomo in virtù di una esasperata ricerca farmacologica? Forse gli «Spinaci» e le «Spinergy» sono più pericolosi dell’eritropoietina? E l’obbligatorietà del casco è un attentato alla libertà individuale oppure è un attentato al buon senso?
Perché Pantani presentava valori ematici superiori al consentito? Perché l’esame ematico dicono non sia più assolutamente probante e attendibile? Perché i corridori non ci aiutano a capire? Perché non si introduce una volta per tutte l’esame incrociato sangue-urine? Perché, perché, perché...
Perché non parliamo più di ciclismo: e quando potremo tornare a farlo?

Pier Augusto Stagi
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