Presidente, la controlliamo. Ha fatto della lotta al doping il suo fiore all’occhiello, il cartello programmatico su cui poggiare il nuovo corso della Federazione Ciclistica Italiana. Ha sacrificato sull’altare della causa Claudio Chiappucci, spedito a casa, tra il ludibrio generale in occasione dei mondiali di San Sebastian. Ha usato uno dei più popolari e generosi campioni degli anni Novanta per far cadere definitivamente il già traballante Renato Di Rocco, reo - secondo il presidente - di essersi adoperato per soccorrere il Diablo. Al diavolo la lotta al doping del presidente Ceruti! Quella fatta di parole, di proclami, di grandi azioni speculative e promozionali che però non producono nulla. Nemmeno i controlli.
La stagione dilettantistica è da poco incominciata. Prime corse, prime volate, primi vincitori. Ma nelle prime tre corse internazionali nessun controllo antidoping, nessun esame ematico. La tanto vituperata Unione Ciclistica Internazionale non si è fatta certamente aspettare: controlli ematici in Sudafrica, Spagna e a Sanremo. Certo, qualcosa da dire ce l’avremmo sugli zelanti medici del Sant’Anna di Como che sono andati a bussare alla porta degli atleti quando era ancora notte fonda, ma non si può certo dire che il problema sia stato dimenticato. Piuttosto, un consiglio: perché la prossima volta - già che ci siamo - non si coricano addirittura nel lettuccio con i corridori?
Torniamo al presidente Ceruti e alla sua efficacissima lotta al doping. Il primo controllo delle urine è arrivato solo al Trofeo Balestra, gli esami ematici a sorpresa non pervenuti. In compenso pervengono puntuali le tasse maggiorate che le società devono pagare, mentre i corridori - tapini - si sono visti scippare circa il 30% dei premi federali. Insomma, come operazione immagine non c’è male. Per la serie: paga e taci. A questo punto cominciamo a capire perché è intervenuta, anche in Italia, la magistratura.
Vieni avanti creatina. Il problema è scoppiato alla fine dell’estate scorsa, quando sono andati a mettere le mani nel mondo del calcio. «Tutto quello che diamo ai nostri giocatori lo può prendere tranquillamente un bambino di 6 anni». Così parlò, nel luglio scorso, il capo dello staff medico della Juventus Riccardo Agricola. E, in un libro, rivelò: «Durante il ritiro precampionato, i nostri giocatori assumono una decina di grammi di creatina al giorno». Poi scoppiò
lo scandalo doping. Agricola aggiunse: «usare la creatina e gli altri integratori non solo è utile: è doveroso per ogni medico sportivo». Ora il pm Raffaele Guariniello sta chiudendo il filone d’indagine sulla creatina, su chi la produce e chi la commercializza: ha scoperto che il ministero della Sanità la considera integratore solo in dosi inferiori ai 3 grammi al giorno. Lo stesso ministero sta approvando un pacchetto di direttive per il commercio di questa sostanza: le aziende produttrici dovranno indicare tassativamente quella dose come la massima consentita. E comunque la creatina sarà vietata ai minori di 12 anni, visti i probabili pericoli per la salute. E perché non decidere di indicare la dose massima consentita anche per chi è chiamato a consumare krapfen, banane, fragole, torta sacher, zampone o la casoela?
Non vedo, non sento, non parlo. La vicenda dei «vampiri» della commissione medica dell’UCI che alla Sanremo hanno fatto una «irruzione» in piena notte è nota a molti. Prelievo del sangue, controlli sui valori dell’ematocrito. Incaricati i medici del Sant’Anna di Como. Quattro squadre, tutte straniere: Once (Jalabert), Telekom (Zabel), Festina e la Lotto di Andrei Tchmil. Al russo moldavo ucraino belga bresciano è andata ancora bene: dal letto lo buttano giù alle 4.55, ma agli altri va molto peggio: ore 4.30, tutti in piedi. «Passi per l’ora, ma hanno messo il mio sangue in flaconi non sigillati, senza la presenza del mio medico: chissà dove potrebbe finire il prelievo...» ha detto Tchmil laconico. Zabel e compagni hanno avuto ben altre parole. Il vice presidente dell’UCI Agostino Omini non ne ha avute e si è subito scusato, il presidente Hein Verbruggen l’ha fatto il giorno dopo. L’avvocato Enrico Ingrillì, presidente dell’ACCPI, sensibile e puntuale come sempre, non ha perso tempo e ha fatto sentire la sua voce in nome e per conto dei corridori. A non proferir parola sono state, invece, la Federazione Ciclistica Italiana e la Lega. È vero, loro non hanno alcuna responsabilità oggettiva, ma a livello formale potevano perlomeno sottolineare il disappunto per l’accaduto ed esprimere solidarietà ai corridori che sono stati trattati come delle bestie. Ma noi, forse, pretendiamo troppo: i corridori rispettati per quello che fanno? Assolutamente no, sono solo corridori. E allora sotto: svegliamoli a qualsiasi ora della notte.Tanto al massimo i «vampiri» potranno essere accusati soltanto di eccesso di zelo. Forse però è il caso di non farla tanto lunga e nemmeno di alzare troppo i toni della discussione: non facciamo baccano, la dirigenza sta ancora dormendo...
Pier Augusto Stagi
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