Processo a tappe. Alla fine sono sempre i ciclisti ad essere i più civili di tutti. «I Nas si sono mostrati gentili e comprensivi» hanno detto all’unisono Gotti, Savoldelli, Bertolini, Bortolami, Tonkov e Axel Merckx, che di ragioni per tirare giù qualche accidente dopo il Laigueglia ce l’avevano, eccome. Che i Nas di Firenze e Bologna non si siano fatti prendere dalla parte come i loro colleghi francesi ci può solo far piacere, ma è ben strano che per interrogare questi atleti, abbiano proprio aspettato il termine di una corsa di 180 chilometri.
Tutto deve essere nato dall’equivoco che il ciclismo è ancora fermo al famoso «Processo alla tappa» di Sergio Zavoli. Al termine di ogni tappa, un bel processino. Ci piacerebbe capire solo perché i calciatori vengono chiamati dal pm Guariniello nel pomeriggio di un giorno infrasettimanale, badando bene a non far perdere loro ore di allenamento, e invece i corridori vengono presi in «ostaggio» dopo una gara ufficiale. Li si voleva sentire tutti assieme? Bene, le squadre e di conseguenza gli atleti, erano a Laigueglia sin dal giorno prima. Bastava solo organizzarsi, senza clamori e trovate ad effetto. Noi siamo convintissimi che la giustizia sia giusta e che questa inchiesta debba essere sostenuta con tutti i mezzi. Ma i modi ci sono sembrati quantomeno discutibili. Il sospetto di spettacolarizzazione c’è, e non ce lo leva nessuno. Ma quel che più ci dà fastidio è che ormai la riservatezza viene costantemente calpestata. Vogliamo parlare del rispetto della legge sulla privacy? Chissenefrega della legge: questi ragazzi vengono chiamati da radio-corsa per «comunicazioni personali». Tanto personali da renderle immediatamente di dominio pubblico. Già che c’erano non potevano fare un comunicato stampa e poi magari anche una bella tavola rotonda? Visto che ci si trovava al mare si poteva anche chiudere la serata in bellezza con una bella impepata di cozze e un brindisi alla nuova stagione. Lo sappiamo: il pm Giovanni Spinosa sta facendo il suo lavoro ma deve ricordarsi che ha a che fare con dei ragazzi che fanno il loro. Abbiamo anche saputo, con profondo interesse, che il pm Spinosa è anche un grande e autentico appassionato di ciclismo. Vabbé, Spinosa è un ciclista, ma le corse non sono teatri di posa per girare «Un giorno in pretura» e nemmeno per rinverdire i fasti del «Processo alla tappa».
Dopati alla fonte. Il supremo dibattito sul doping prosegue inesorabile, così come probabilmente inesorabile prosegue l’uso diffuso del doping stesso. Le indagini avanzano, le perquisizioni si allargano, le interrogazioni si sprecano, il clamore non cessa ma, in compenso, nulla è stato fatto o quasi. Se il Cio, le federazioni internazionali, i governi si dividono su quello che è giusto fare o è possibile fare, il Parlamento si divide sulla procreazione assistita. Il tema è di quelli delicati, che portano dritto dritto alla manipolazione genetica che, a sua volta, rischia di condurci all’idea di procreazione dell’uomo perfetto. A Torino è nato qualche giorno fa un bambino con due mamme; domani potrebbe nascere un bimbo o una bimba con una cartella genetica di esclusività assoluta. Intanto, però, continuiamo a parlare di doping; ci arrovelliamo per debellare l’uso smodato dell’Epo ed ecco che intanto si profila all’orizzonte la concreta possibilità di generare uomini e donne perfette, con spiccate doti racchiuse in DNAda geni. Per assurdo, ma poi così tanto assurdo non è (basta parlare con un uomo di scienza), potremmo arrivare a breve alla realizzazione di un atleta «dopato alla fonte»; modificato nel suo DNA con quei requisiti necessari a dare forma e vita ad un atleta superuomo che sarebbe piaciuto tanto a Nietzsche. Visione pessimistica della questione doping? Sì, assolutamente. In una società che arriva a gonfiarsi i muscoli, le tette, le labbra e che si rassoda i glutei perché mai non si dovrebbe arrivare alla creazione di superatleti? Gli eserciti sognano l’uomo nato per combattere le guerre; le federazioni sognano l’uomo nato per vincere medaglie. Intanto, il Cio organizza tavole rotonde per parlare di tutto senza decidere niente. La partita è praticamente persa e non hanno nemmeno il buon gusto di ammetterlo. Per dirla come D’Annunzio, la dirigenza di Samaranch sembra proprio un’accozzaglia di persone cretine che hanno lampi di imbecillità.
Messi a nudo.. Il mondo delle due ruote sembra ormai formato da gente capace solo di diffamare, denigrare, infangare chiunque. Quel corridore è dopato; quell’altro è uno spacciatore; quell’altro ancora è gravemente malato. Non sanno nulla ma in compenso parlano. Questo non vuole essere l’invito all’omertà ma al rispetto delle persone questo sì. Da almeno due anni circola in gruppo una delle tante leggende metropolitane: Franco Chioccioli è malato. È costretto a praticare la dialisi. Malignità, bisbigli, pettegolezzi della peggior specie. Lo sappiamo, non si può imbavagliare la gente, ognuno può dire e fare ciò che vuole, ma queste belle personcine devono anche sapere che dovranno risponderne - un giorno - davanti ad un tribunale. Pantani l’ha detto più volte: «il nostro ambiente è frequentato da improvvisatori, da persone senza onorabilità e morale». Ha perfettamente ragione. Ma in questo mondo di pettegoli, c’è chi come Franco Chioccioli si è reso disponibile a spogliarsi davanti ad un medico e a delle telecamere per dimostrare a tutti di stare benissimo, di non esser mai stato meglio. Il risultato? Che questo gesto da «Full monthy» ha messo a nudo la nostra categoria, quella dei giornalisti, che ad un servizio nel nome della verità, hanno preferito il diffamante silenzio che alimenta il sospetto. E che fa certo più notizia.
Sei Giorni d’inganno. Solo quel genio di Patrick Sercu crede ancora di avere a che fare con un manipolo di interdetti. Solo uno come il fuoriclasse belga è capace di addomesticare le corse con un garbo e un’attenzione al cui confronto il magnate australiano Murdoch è un ebete e il mago Casanova è il nuovo Houdini. Bello, proprio un gran bello spettacolo, che ha finito per premiare la coppia Martinello-Villa e ha mandato in brodo di giuggiole il competente pubblico della Sei Giorni, che è stato talmente competente da restarsene a casa. A noi, che abbiamo visto la Sei Giorni sul canale tematico della Rai, è parso di notare le coppie Risi-Betschart, Baffi-Kappes e Collinelli-Madsen di gran lunga superiori a tutte le altre. Ma questi sono solo dettagli: la coppia regina era e doveva essere quella di Martinello. Quando Sercu capirà che la popolarità di Martinello è pari a quella di Villa, Collinelli e Baffi, forse potremo tornare ad assistere a delle gare di ciclismo, non a dei patetici minuetti che fanno felice solo Franco Polti e mandano in bestia chi veramente ama la pista. Di panzane siamo già costretti a sentirne tante ma, per pietà, risparmiateci questa. Ah, dimenticavo: per me il vero vincitore della Sei Giorni è stato Gianni Bugno. Come? Non ha corso. Appunto.
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