UNA RAGAZZATA.
La lotta al doping si sta intensificando e di molto. Tutti hanno compreso la gravità del momento e ognuno sta cercando di contribuire, con i propri mezzi, al salvataggio del nostro sport: federazioni sportive, squadre, sponsor, organizzatori, tutti impegnati in prima linea.
C’è chi organizza convegni, chi decide come la Rcs Sport di mettere in piedi un progetto ambizioso («Un traguardo in più per il Giro») che di fatto corre in aiuto del ciclismo ma anche di una Federazione che mostra chiari segni di difficoltà. Team - come la Mapei - da anni impegnati a creare al proprio interno una nuova mentalità, una nuova coscienza sportiva, atta a generare e ri-generare una nuova generazione di corridori.
E mentre la macchina di questo «esercito della salvezza» è in piena attività c’è chi ancora non capisce o fa finta di non capire. Non comprende la gravità del momento, non concepisce che ci possa essere chi vuole praticare o seguire uno sport pulito e credibile in santa pace. Non gli sono bastati «gli avvisi di garanzia», lo scandalo Festina, il giorno di Madonna di Campiglio e la notte di Sanremo. Tutto questo è per loro semplice «giustizia spettacolo», in due parole: una scocciatura.
Certo, non possiamo pretendere di sconfiggere il doping in maniera definitiva e assoluta. Non possiamo pretendere che da domani tutti capiscano. Sarebbe come sperare che spariscano i borseggiatori, che cessino le rapine in banca: pura utopia.
Ben diverso è però trovarsi di fronte ad un direttore di banca che giustifica la rapina del figlio. Nel caso specifico scoprire che ci sono padri, educatori in questo caso (è diesse di un team dilettantistico nazionale), grandi campioni del pedale, che non hanno capito niente.
Mi riferisco ad uno degli ultimi casi di positività di un corridore juniores, maggiorenne, bresciano tesserato da un team milanese, figlio d’arte. Un ragazzotto risultato positivo alla cocaina, che ha come padre una persona che anziché dire che suo figlio è stato semplicemente un imbecille, ha pensato bene di liquidare ogni discorso con uno sconcertante quanto superficiale «è stata una ragazzata». Non solo: si è preoccupato di farci sapere che oggi i ragazzi tirano quasi tutti di cocaina e che questo è un «vizio sociale», tanto da reclamare clemenza e auspicare un’assoluzione piena perché la cocaina nulla ha a che vedere con il doping sportivo. Ci ha anche informato che questa «ragazzata» non ha portato alcun beneficio sportivo se è vero come è vero che ha fruttato al proprio figliuolo solo un sesto posto in una gara (assoluti della pista) che ha visto al via la miseria di otto partecipanti. Poteva arrivare anche a dirci che il ragazzo aveva frainteso alcuni suoi consigli (“mi raccomando, tira sempre, quando puoi tira”) e il successo sarebbe stato pieno. Per la serie: fai partire gli applausi.
Insomma, ha difeso il figliuolo in maniera imbarazzante.
A questo punto noi proponiamo al presidente della Federciclismo, che si dice in prima linea nella lotta al doping, di prendere un solo grande provvedimento: anziché squalificare il corridore per questa «ragazzata», venga radiato il papà. Faccia in modo che diventi innocuo. Non possiamo più tollerare che nel nostro ambiente circolino certe persone. Il ciclismo deve intensificare i controlli, deve cercare di promuovere una nuova mentalità, ma ogni sforzo risulterà vano finché in gruppo si annideranno certe persone, per giunta con il tesserino della Federciclismo in tasca.
Questa persona - che passa per essere un sergente di ferro, un duro, un uomo di polso (pensa se fosse stato una mammoletta... ma forse il problema è proprio questo: è un duro, negli allenamenti, perché nella vita quel che conta è vincere. E che diamine!) - ha dato tanto al ciclismo italiano? Bene, restituiamogli tutto: non sappiamo che farcene.
Che a lui interessi poco di suo figlio ci può solo dispiacere. Noi, molto più semplicemente, non vorremmo veder morire questo sport.
Pier Augusto Stagi
P.S.: Questa persona (di cui non faccio il nome per ovvie ragioni di opportunità: non voglio prestare il fianco. Ma anche e soprattutto perché questa è una storia esemplare che spiega come vanno le cose nel nostro martoriato mondo del ciclismo, e il nome o i nomi dei protagonisti, sono assolutamente superflui), vedrete, si farà vivo e farà anche la voce grossa: con noi, logicamente. Farà il duro come è suo costume. Perché è un uomo tutto d’un pezzo, che non si fa mettere sotto da nessuno (solo da suo figlio) e non accetta le lezioncine da chicchessia. Io ho già pronta la risposta. Dirò che ho scritto tutto questo sotto l’effetto di allucinogeni. Sono sicuro che comprenderà: anch’io, in fondo, ho fatto solo una ragazzata.
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