Ivan Sosa, la bella scoperta
di Giulia De Maio

Sosito è come il protagonista del­la favola di Hans Christian Andersen, il brutto anatroccolo che ben presto diventerà un magnifico cigno. Non ha esperienza, con il tempo migliorerà senz’altro la destrezza nel guidare la bici e farà sue le malizie tattiche, ma ha già dimostrato di avere talento.
Al Tour of the Alps Ivan Ramiro Sosa Cuervo, così recita l’anagrafe con i classici due nomi e cognomi latini ereditati da mamma e papà, si è presentato al mondo del grande ciclismo. Ha lo stesso procuratore di Egan Bernal, sta crescendo come lui nella Androni Gio­cat­to­li Sidermec, nella stessa stanza d’hotel in Piemonte, dovrà per forza di cose abituarsi al paragone e dare il mas­simo per non deludere il confronto.
«Egan è un amico, correndo al suo fianco l’anno scorso ho imparato tanto, raggiungerlo in futuro in un team di World Tour sarebbe un sogno» raccontava Ivan in maglia ciclamino, al termine della seconda tappa del #TotA dopo aver battagliato sull’Alpe di Pampeago con campioni come Froome che, fino a poco tempo fa, ammirava in tv.
Ivan è nato e cresciuto a Pasca, un pae­sino di montagna a 2.200 metri di altitudine nel municipio del dipartimento di Cundinamarca, dove i genitori coltivano fagioli e pomodori. Mam­ma Telma Johana e papà Jorge Antonio, così come la sorella Juliana, di 12 anni, so­no contenti di quello che sto facendo in Europa. La sua seconda casa, quella in cui sta imparando come si fa il corridore è in provincia di To­ri­no, dove è arrivato grazie a Paolo Al­berati che, dopo Egan Bernal e Kevin Rivera lo ha se­gnalato a Gianni Savio, in passato c.t. della Nazionale colombiana, che tra i tanti sudamericani che ha lanciato lo paragona a Nelson Ca­cai­to Ro­driguez. Lui è così giovane che nemmeno sa chi sia, anche se ha vinto al Tour de France. I suoi primi ricordi risalgono alle gesta di Alberto Contador ammirato in tv.
«Se Bernal è una certezza, Sosa è una promessa. Crediamo molto in lui, ma andiamoci piano. La nostra filosofia è far crescere i giovani gradualmente e senza pressioni. Per questo nonostante quanto di buono ha fatto vedere Ivan sulle strade del Trentino non lo schiereremo al Giro d’Italia. Un conto sono cinque tappe brevi, un altro tre settimane a tutta. Lo vogliamo salvaguardare» racconta il Principe.
In Italia Ivan fa base all’Hotel Risto­ran­te Buasca, nella frazione di San Co­lombano Belmonte. A 5 chilometri da dove abita il direttore sportivo Gio­vanni Ellena, che insieme all’amico Vladimir Chiuminatto si prende cura di Ivan e degli altri ragazzi che passano tanto tempo lontani da casa per in­seguire il loro sogno. «Se li perdo, so dove andarli a trovare. In cima alla salita che va al Col del Nivolet, a 2.600 metri, nel Parco del Gran Paradiso. Gliel’ho fatta scoprire appena arrivati ed è diventata la loro scalata preferita perché è lunga come le salite su cui so­no cresciuti nel loro Paese. A volte de­vo anche sgridarli, non li ferma nemmeno il brutto tempo, ma in montagna non si scherza» racconta Ellena, a cui brillano gli occhi a parlare di questi giovani a cui dedica tempo e anima.
«Sembra assurdo ma servivano i co­lom­biani per rilanciare il ciclismo piemontese. C’è grande partecipazione in zona. È nato un fans club, attivissimo, per Egan Bernal, il fondatore della “comunità colombiana” a Buasca, e tan­ti Under 23 che abitano nei pressi si allenano con loro».
Quando Ivan è arrivato in Italia ha scoperto per la prima volta il freddo e la neve. Da noi ha trovato un mondo totalmente diverso da quello a cui era abituato, in cui ha però saputo trovare la sua dimensione. Nell’hotel in cui abita gran parte dell’anno con Kevin Rivera e Rodolfo Torres, ormai è responsabile dell’alimentazione degli animali. Tutte le mattine dà da mangiare alle galline e alle mucche. È così abitudinario che alza le tapparelle dell’hotel tutte le mattine per controllare come stanno gli animali che forniscono i prodotti freschi al ristorante, an­che lunedì, nonostante sia giorno di chiusura, e alla signora Piera che ge­stisce l’attività a conduzione famigliare tocca tirarle giù di nuovo.
«Prendermi cura degli animali mi fa sentire a casa. Ogni tanto mi manca, ma qui mi trovo bene e so che c’è il mio futuro. Mi piace il cibo italiano, la carne soprattutto, ma adoro anche quello co­lombiano. Quando torno, la prima cosa che desidero è un bel piatto di riso con il pollo».
Timido e determinato, Ivan va forte in bici e ha solidi valori. Ha iniziato a pe­dalare a 7 anni perché il ciclismo piaceva a uno zio, che ha trasmesso la passione a lui e ad altri cugini. Oggi continuano a correre lui e Johan Gar­cia, che corre nella Manzana Po­sto­bon.
«La prima bicicletta che ho avuto era vecchia e malmessa. Alla prima gara ero così spaventato che non la finii nemmeno. Ho cominciato a fare sul serio solo a 15 anni».
Nel 2016 ha vinto la tappa più importante della Vuelta Porvenir in Colom­bia e si è fatto notare. A 17 anni ha smesso di studiare e ora il ciclismo è tut­to per lui. Appassionato di elettronica, per distrarsi tra un allenamento e una gara si diverte con la playstation, come un qualsiasi ragazzo della sua età.
«Con Ivan mi sto togliendo delle grandi soddisfazioni, con Egan veniva tut­to facile. Ha dimostrato grande maturità. Il giorno che ha preso la ma­glia al Tour of the Alps mi sarei aspettato che tremasse dalla felicità, invece quan­do è salito in macchina sembrava uno che era andato al bar a prendersi un caffè e non era neanche un caffè eccezionale», aggiunge Giovanni El­lena.
Ivan non ha fretta anche se sa dove vuole arrivare. «Sono al secondo anno tra i professionisti. Quest’anno ero già riuscito a vincere una tappa alla Vuelta al Tachira, ma al Trentino non mi aspettavo di poter lottare con i migliori (3° nella prima e seconda tappa, ndr).
La squadra ha fatto un lavoro super, sono contento di averlo ripagato almeno in parte. Peccato per la ca­duta nella terza tappa: un buco in di­scesa mi ha fatto perdere il controllo della bici e non c’è stato nulla da fare. Se penso che Froo­me lo vedevo in tv quando ero un bam­bino e ora posso confrontarmi con uno dei miei idoli, provo una grande soddisfazione».
Vorrebbe tanto correre il Giro d’Italia, ma come detto la squadra non lo ha inserito nel roster della corsa rosa.
«Mi spiace, ma mi fido dei tecnici e penso sia una scelta operata nel mio interesse. Un conto è partecipare a una corsa di alto livello di 5 giorni con tappe corte, un’altra affrontare tre settimane con tappe di oltre 200 km. Per il futuro, spero di seguire le orme del mio caro amico Egan Bernal, che due anni fa si è rivelato proprio al Trentino in maglia Androni. Sono giovane, per ora voglio imparare il più possibile, e se Dio vorrà, un giorno disputerò le più grandi corse al mondo. Ho ancora tanta strada da percorrere, lo so, ma per ca­rattere do sempre il massimo, in qualsiasi circostanza».
Gli altri abitanti dello stagno sono av­visati.
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