Scripta manent
Dall'iridato D'Amore al ragionier Ferioli

di Gian Paolo Porreca

Ed allora ci permettiamo, in questo spazio mensile, di restare ancora a casa nostra, per il ciclismo e per la Campania. Una volta ancora, cinquanta righe tuttora, consecutivamente, e poi pa­gheremo pe­gno, volgendo lo sguardo, se ci riuscirà, più in là.
Ora che, fra l’altro, il Giro d’I­talia 2017 ha confermato che la Campania è restata fuori di netto dal suo disegno. E che quindi si delinea un vuoto di immagine so­stanziale in più.
(Ma che peccato, in senso lato, che la sua 100 edizione non abbia poi toccato - Napoli com­presa - tutte le città sedi della sua prima volta....).
Il ciclismo e la Campania, dunque, e un indice da qui puntato il mese scorso idealmente contro chi ha paura di parlare della sua esistenza, mica a mor­tificare quelli che invece lo fanno, motu et amore propriis, per fortuna. Come ci ha sottolineato con garbo incisivo Do­nato Pol­vere, il diesse della Vejus sannita, a pieno merito e ragione.

Il ciclismo e la Campania, e un indice puntato, per essere ulteriormente chiari, verso chi ha paura di sostenerlo, di illustrarlo, con i me­dia dopati dal CALCIO della A, di sponsorizzarlo. Gli im­prenditori sono in difetto ovun­que per lo sport, si sa, ed è una lamentazione recentemente antica, ma per il ciclismo in Campania - e ci di­ranno in molti: «non solo in Cam­pania»... - essi dimostrano una latitanza estrema. Punto e a capo. E siamo cer­ti che il CONI e le istituzioni federali nazionali e regionali siano i primi a considerare la criticità di questo stato di cose ed a sostenere le istanze degli attori del ciclismo locale di buona - anzi ottima - volontà.
Ma senza parlarci addosso ol­tre, senza riparlare quindi del velodromo di Marcianise, del Nuovo Giro della Campania e di Vincenzo Albanese, raccontiamo allora gradevolmente di altro. In Campania.

Vi parliamo di Crescen­zo D’Amore, il talento di Brusciano che di­ventò iridato juniores a San Se­bastian nel ’97 e visse poi una non lunga, e certamente poco fortunata, avventura fra i professionisti.
E della sua ultimissima, imminente avventura. «Mi accingo, a metà novembre, a compiere un raid ciclistico Napoli - Lon­dra, in solitaria, dopo le polemiche sul timbro nel passaporto che specifica la provenienza degli italiani che sbarcano per lavoro in Inghilterra...». Il marchio neapolitan, a differire da italian, non offende e non scandalizza oltre D’Amore, che da Piazza Plebiscito, a Na­poli, a Trafalgar Square, a Londra, per dieci tappe previste, indosserà una shirt a doppia scritta, lato A e lato B: I am neapolitan, I love England. Una doppia scritta che non è una doppia faccia, per una civiltà che sia solidale ed UNA.

E abbiniamo, alla figura atletica e di cicloamatore in forma del D’Amo­re attuale, soltanto 37 anni, che si allena ogni giorno per un raid che vive come fosse una Sanremo, quella del ragionier Gigi Ferioli, un omino sorridente e dalla memoria an­cora brillante, a 97 anni, che di un altro più romantico ciclismo in Campania è stato testimone.
Lui, al centro delle foto di gruppo nel Raduno delle vecchie glorie del G.S. Baratta, l’antica squadra ciclistica dilettantistica di Battipaglia, fra il ’50 ed il ’60, che si è svolto nei giorni scorsi a Paestum.
Lui, in foto fra Damiano e Lan­di, lui che di quel gruppo, ex-CRAL, era l’anima generosa. Ma che era in primis il factotum di fiducia dell’industria conserviera dei fratelli Baratta. Giusto, una industria che investiva nel ciclismo, in Cam­pa­nia, quando il pomodoro non era mica un oro nero... «Ma più che una industria, era una famiglia, quella dei quattro fratelli Baratta...».
D’Amore e Ferioli, sessanta anni di distanza, ma gli stessi valori, per una comune passione. E basta poco, anche queste cinquanta righe, per farlo ap­prezzare, fuori dal comodo le­targo della Curva A, in Cam­pania.

Gian Paolo Porreca
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